
Qualche tempo fa un amico mi raccontava che, durante un viaggio in Gran Bretagna, esprimendo ad un poliziotto il proprio stupore per il fatto che gli inglesi non abbiano “carte di identità”, gli chiese come si procedeva nel caso dell’arresto di un ladro colto in flagrante. La risposta fu “semplice: gli chiediamo nome, cognome e indirizzo”. È chiaro che la responsabilità individuale è alla base di qualsiasi relazione fra gli uomini ma è altrettanto chiaro che essa, di fronte alla molteplicità di tali relazioni nelle società contemporanee, necessita di regole formali precise. Senza però che si arrivi, come da noi, a richiedere continuamente il certificato di nascita, oltre che di residenza e altri, come premessa per qualunque ulteriore prassi. L’autocertificazione andrebbe quindi sicuramente estesa.
Tuttavia, la burocrazia, di per sé, svolge il prezioso compito di legittimare e certificare cioè rendere certa la legittimità delle azioni che avvengono in seno alla società in modo che esse rispettino le regole e producano effetti prevedibili. Per questo Max Weber ha insistito sull’analogia fra un sistema amministrativo e una vera e propria macchina, dal cui buon funzionamento dipendono l’efficienza e l’efficacia della società nel suo insieme. Anche Weber, d’altra parte, si rendeva conto dei pericoli che una burocrazia troppo potente è in grado di generare soprattutto nel caso in cui il ceto politico non sia all’altezza del suo compito di guida e controllo.
Dall’inizio del secolo XX, epoca in cui Weber scriveva, la novità più rilevante è stata la progressiva adozione di tecnologie di varia natura come strumenti essenziali della burocrazia fino a trasformarla, per certi aspetti, in tecno-burocrazia, ossia una macchina che si serve di macchine. Se la burocrazia si è storicamente imposta, comprensibilmente, per eliminare l’incertezza nei rapporti sociali, la sua evoluzione tecnologica la sta trasformando in un sistema chiuso, dal quale e nel quale si può uscire o entrare solo per mezzo di gesti e azioni formali determinati in ogni loro aspetto, senza alcuna possibilità, da parte degli stessi burocrati, di esaminare i casi specifici agendo con discrezionalità. I casi clamorosi, nei quali il sistema burocratico compie atti decisamente ingiusti o irragionevoli, si susseguono senza sosta in ogni ambito, come testimonia la cronaca.
La burocrazia è necessaria perché, come dice il proverbio, “carta canta e il villan dorme”, sottolineando come la certificazione, per fare pochi esempi, di un diritto, di una proprietà, o di un dovere assolto, conviene a tutti e fa dormire sonni tranquilli mentre la sua assenza ci getterebbe nel caos più totale. Il problema attuale, dunque, non solo italiano, non è l’eliminazione della burocrazia ma la sua rifondazione sulla base di una generale revisione del modello che oggi la caratterizza. Un modello che si può definire come un sistema a compartimenti stagni, difesi da funzionari, e relative macchine, gelosamente orientati a difendere e, se possibile, incrementare il proprio potere e la propria imprescindibilità per l’azione politica. Purtroppo, anche una simile revisione non può che presentare passaggi burocratici anche molto delicati, e l’impresa può quindi presentarsi come rischiosamente autoreferenziale, come un cane che si morde la coda. L’unica speranza è che il ceto politico prenda di petto la situazione, ma i recenti provvedimenti, mostruosamente prolissi e capaci di mobilitare altrettanto mostruose prassi di nuova e paralizzante burocrazia, non danno grandi segnali in questa direzione.
Aggiornato il 08 giugno 2020 alle ore 11:31