
Chi sostiene la necessità di estendere ulteriormente l’autonomia delle Regioni credo dovrebbe riflettere a lungo sullo spettacolo indecoroso al quale stiamo ancora assistendo, nella speranza che, con la cosiddetta “fase 2”, non ci riservi altre brutte sorprese. Il fatto che quella sanitaria sia praticamente l’unica competenza di rilievo delle Regioni mette in luce come, in Italia, l’autonomia sia stata e sia tuttora concepita come pura e semplice manovra politico-elettorale. Una manovra che, di fronte all’epidemia, ha fornito una prova poco rassicurante ma che c’è da temere si possa aggravare nel prossimo futuro. A fianco della grande dedizione di medici e infermieri, le Regioni non hanno fatto altro che avviare conflitti con il Governo centrale quasi fosse il “nemico esterno”, un atteggiamento capace di mobilitare il “senso del noi” presso la popolazione locale da cui trarre, alla fine, qualche vantaggio elettorale. Per ironia della sorte, però, le stesse Regioni in molti casi, al Sud come al Nord, si sono dovute difendere dagli attacchi dei Comuni, motivati dagli stessi atteggiamenti relativi alla loro “specificità” territoriale non riconosciuta dalla Regione.
La “scena madre” di questa commedia è stata sicuramente, dopo un brillante crescendo di polemiche, l’estenuante riunione della Conferenza Stato-Regioni dalla quale è uscita la normativa per la “fase 2”. Qui le Regioni si sono confrontate direttamente con lo Stato, concepito curiosamente come ‘controparte’ in una contesa che, per la verità, vedeva assente il nemico comune, ossia il virus. L’obiettivo comune delle Regioni era infatti l’allentamento più marcato possibile delle restrizioni imposte dal Governo alla popolazione come se l’aggressività del virus, e dunque la pericolosità del contagio, dipendessero dalla politica governativa. L’importante, per i cosiddetti ‘governatori’, era di poter tornare nei propri territori con la vittoria in mano da esibire al proprio elettorato. Insomma, dopo aver parlato per settimane di “guerra” contro il virus, le Regioni hanno pensato bene di cambiare nemico, scegliendo quello più debole ma lasciando spazio a quello più forte.
La speranza è ovviamente che l’epidemia si esaurisca per le stesse ragioni intrinseche che caratterizzano ogni fenomeno di questo genere ma, nel frattempo, il risultato della contrapposizione fra Stato e Regioni è che negli staterelli italiani vigeranno regole, condizioni e limiti diversi. Per cui, per esempio, chi abita a Verona e per lavoro si deve muovere fra Veneto, Trentino, Emilia e Lombardia dovrà seguire corsi accelerati per non infrangere le nuove normative e così sarà per chi, abitando a Pavia, dovrà vedersela con la Lombardia ma anche con l’Emilia, il Piemonte e la Liguria. Mille altri casi di questo tipo riguarderanno un po’ l’intero Paese, non certo caratterizzato dai grandi spazi degli Stati americani. Si dirà che è il giusto prezzo da pagare alla peculiarità dei territori italiani ma, in realtà, è solo il pesante e costoso dazio da corrispondere alla velleità interessata di chi non ha mai voluto credere fino in fondo all’unità nazionale.
Aggiornato il 19 maggio 2020 alle ore 12:12