mercoledì 13 maggio 2020
Ostaggi, sequestri, riscatti. Pratiche antichissime, utilizzate per punire un nemico; per puro banditismo predatorio (che, però, molti diseredati vedono come una vendetta alla Robin Hood); per il monopolio di un territorio ristretto da parte di gang giovanili e gruppi di criminali comuni per il controllo dei traffici di droga e delle piazze di spaccio; ovvero, infine, come arma politica da parte di gruppi della guerriglia organizzata e, quindi, anche di quelli terroristici di comprovata ferocia come gli al-Shabaab, con due obiettivi vitali, di cui il primo è sempre prioritario rispetto al secondo, soprattutto se riguarda formazioni jihadiste che si ispirano all’Islam puro e duro del VII secolo d.C.
Si sequestra e si rilasciano stranieri innocenti dietro pagamento (tenendo la posta sempre molto alta) per dare i seguenti messaggi politici dirompenti. Il primo, a carattere interno, è indirizzato a chi governa il Paese in cui avviene il sequestro, per dire in buona sostanza che: “Qui comandiamo noi e su questo territorio facciamo il bello e il cattivo tempo” e, nel caso degli al-Shabaab, “rapiamo o compriamo i vostri bambini per farne dei leoncini dell’Islam e mandarli a farsi esplodere nei vostri mercati, presidi di polizia, alberghi e caserme”. Il secondo, ha come obiettivo il condizionamento dell’opinione pubblica internazionale, soprattutto occidentale (vi è mai capitato, infatti, di sentire che abbiamo rapito un emiro musulmano?), e dei suoi governi: “Oggi vi colpiamo qui, ma domani verremo a farlo a casa vostra”. Cioè, “nostra”, domani. Perché per il Corano, ad esempio, dice nella sura 2 (190-193): “Combattete per la causa di Allah coloro che vi combattono, uccideteli ovunque li incontriate, scacciateli. Combatteteli finché il culto sia reso solo ad Allah”.
Quindi, tutte le terre degli infedeli sono legittimamente assoggettate alla conquista da parte dei fedeli di Allah, soprattutto di quelli che dopo 1500 anni lo prendono ancora alla lettera.
Il secondo aspetto della finalità del rapimento da parte di gruppi terroristici e islamici, in particolare, è più propriamente “materiale”: estrarre quanto più denaro possibile da quel delitto che, però, ricordiamolo, nella loro legge ha la benedizione divina, come nel caso dell’Isis, i cui militanti si sono sentiti autorizzati al genocidio e alla pratica indiscriminata dello schiavismo, soprattutto sessuale nei confronti delle giovani donne, rispetto ai popoli e alle etnie sottomessi con la forza e ritenuti infedeli. Ovviamente, trattandosi di gruppi guerriglieri, il primo impiego di quel denaro sarà ai fini della guerra e della copertura dei suoi costi: armamento, reclutamento ed equipaggiamento dei propri militanti.
E veniamo qui al caso concreto di Silvia Romano, la cooperante di una semisconosciuta Ong, sequestrata per circa un anno e mezzo e poi di recente rilasciata dietro il pagamento di un ingente riscatto. Nel suo caso, gli islamisti hanno giocato un gioco spietato con il suo corpo e la sua immagine, condizionandola al punto di farsi fotografare appena scesa sul suolo italiano in una inequivocabile divisa femminile che indosserebbe qualunque donna (sposa, sorella, madre, figlia o fidanzata) di uno Shabaab che si rispetti. Fatto che ha provocato due profondissime ferite di immagine nell’Occidente. Primo: il linguaggio dei simboli ci dice: “Lei non è più vostra, né nel corpo, né nella mente perché si è ‘liberamente’ convertita all’Islam” (dove ricordo vale l’usanza di moglie per un giorno¸ con la benedizione dell’Imam!). Secondo: “i nostri ideali religiosi (che sono anche politici nell’Islam radicale. Sosteneva infatti Khomeini: “L’Islam è politico o non è Nulla!”) e la nostra civiltà sono superiori alla vostra”.
Ora, mi viene da dire: ma quale Governo abbiamo? L’intelligence italiana ha sicuramente avvertito i nostri responsabili politici degli enormi rischi di immagine di cui sopra. Allora, perché non si è posto rimedio costruendo in silenzio una opportuna stanza di decantazione per limitare gli effetti evidenti del plagio, conseguenti alla ben nota Sindrome di Stoccolma, in modo da operare una sana terapeusi successiva per una traumatizzata di quel livello?
Secondo aspetto: gli Odiatori seriali, leoni anonimi da tastiera sui social (Fb, WhatsApp, Instagram), sono la testimonianza dell’inguaribile contagio pandemico da smartphone: si sta ininterrottamente collegati con gli amici stretti, per cui alla fine tutte le risorse emotive e cognitive si esauriscono nel peer-to-peer e nell’auto esaltazione dei gruppi chiusi. Tuttavia, dal mio punto di vista qualunque censura dall’alto, in proposito, è del tutto fuori luogo e inefficace. Propongo, in alternativa, per prosciugare l’odio organizzato, che una volta individuati i post oltraggiosi, razzisti, xenofobi e sessisti più violenti, di bloccare il profilo incriminato e con quest’ultimo tutti quelli collegati che ne hanno condiviso/apprezzato il contenuto, facendo poi in modo che tutti costoro possano da quel momento in poi andare esclusivamente su un sito di demistificazione e disambiguazione certificato, e leggere almeno il 50 per cento dei post di informazione corretta. Per stabilire se si sono lette o meno le controinformazioni oggettive, basta compilare un questionario collegato. Soltanto qualora si siano date almeno il 70 per cento di risposte esatte, il profilo e quelli collegati vengono sbloccati. Scommetto in un successo pieno della citata misura!
di Maurizio Guaitoli