Numeri, libertà e virus

Carissimi lettori, se avete un attimo vi faccio un resoconto da manager.

Titolo: del perché è impossibile (e insensato) parlare di ritorno alla “Fase 1” e proroghe di qual si voglia stato di emergenza (di cosa?).

Svolgimento: dopo tre mesi si esce dalla cronaca ed entri nello storico. Cioè, hai dati su cui non fare supposizioni, ma trarre bilanci e linee operative. Cosa è rimasto immutato sulla questione Covid-19?

L’80 per cento di chi è contagiato non avrà sintomi; il 15 per cento avrà sintomi lievi, al 100 per cento assimilabili a una normale influenza; il 5 per cento potrebbe presentare sintomi seri; di quel 5 per cento, il 3 per cento può essere a rischio vita, ma...

Ecco cosa è cambiato!

Ora sappiamo che di quel 3 per cento sul 5 per cento, il 90 per cento lo puoi curare a casa con clorochina/eparina. Dato che, dopo aver fatto (dopo due mesi! Nella “Fase 1”, madre di tutti gli errori, alla quale si vorrebbe ritornare!) le autopsie, sai che la causa di morte è la tromboembolia e non la polmonite di cui farneticava l’Organizzazione mondiale della sanità (dai vertici mondiali ai suoi agenti nazionali, Walter Ricciardi in primis). E infatti, gli ospedali-covid (e terapie intensive), sono vuoti. Non lo dico io, lo dice anche il direttore del San Raffaele che si lamenta di “non avere abbastanza ammalati per avviare le sperimentazioni”.

L’un per cento sul 3 per cento del 5 per cento deve essere, come sia, ospedalizzato, ma qui hai il 90 per cento di guarigioni con uso di plasma iperimmune. Ormai lo adottano in 190 università di prima fascia negli Usa, pressoché ovunque. Ne deriva che muore lo 0,1% su 3% su 5% con più di 75 anni e almeno due patologie gravi pregresse.

Ora, è qui che l’unica cosa ragionevole da fare è solo quella di calcolare il fattore di rischio in maniera razionale, dopo aver ribadito che la nostra “Fase 1” è in ogni caso stata la peggiore del mondo sotto ogni aspetto (e tralascio di considerare chi il lockdown non lo ha fatto proprio è ha stravinto, salvando in toto tutta l’economia, Svezia e Bielorussia in testa).

Non solo: dopo 3 mesi abbiamo anche un test empirico su target group iper-rappresentativo per ampiezza e tipologia: i commessi e le commesse dei supermercati! Decine di migliaia, di tutte le età e sessi, diffusi in maniera capillare in tutto il territorio nazionale. Sono stati il collo di bottiglia di ogni contatto umano e sociale di questo periodo. Hanno incontrato e ben oltre il metro di distanza (impossibile da tenere quando si passa alla cassa) praticamente tutta la popolazione italiana, almeno 2-3 volte alla settimana. Fossero anche lontanamente verosimili le proiezioni folli dell’Oms e delle nostre task force, avrebbe dovuto dilagare il contagio e avremmo assistito proprio fra queste categorie a un esplosione di ammalati. Cosa è successo invece? Niente.

Ed ecco l’unica domanda sensata che ogni governo dovrebbe porsi alla luce di quello che oggi sappiamo: questa roba, adesso, sulla base indiscutibile di tutto questo, è un fattore di rischio tollerabile per la normale vita dell’essere umano? Oppure, va considerato ancora come un super-problema? Se sì, perché?

Aggiornato il 12 maggio 2020 alle ore 17:48