In una Roma deserta fra ricordi e voglia di ripartire

Mai avrei pensato di vivere un’altra volta quella sensazione strana che ho provato da piccola, la fine dell’estate al mare. In questo spazio di tempo di interruzione della democrazia in Italia (colpevole dell’attuale Governo Pd Mattarella tramite l’ineletto Giuseppe Conte) in cui sono sopraffatte e travalicate tutte le regole democratiche, gli italiani sono agli arresti domiciliari in violazione precisamente della Costituzione italiana, sto riprovando il vuoto delle strade, la pioggia e soprattutto il vento fresco sulla pelle mentre vago, sola, in bicicletta per le vie deserte di Roma.

A Fregene, al mare, passata la stagione del mare assolato, si finiva tutti gli anni in un vago “limbo”, la cui sensazione straniante mai avrei pensato di rivivere. Oggi rivivo proprio quello sperdimento di quello stesso limbo, che mi aiuta a stare bene, a sopravvivere.

L’estate era finita. A casa tutto era in funzione, come in piena estate. Andavamo – vero “must” delle consuetudini di mia mamma – ad abbeverarci con gli ultimi deliziosi cappuccini da Bondolfi – che io preferivo – o da Camillo, prediletto bar blu di mia mamma. La giornata proseguiva a piacere. Mia mamma e mio papà si rintanavano tra le ombrosità della casa a studiare, a portare avanti i loro studi. I miei fratelli non so cosa facessero. Io inforcavo la bicicletta e, al posto della spiaggia, vagavo pedalando in giro. Mi piaceva correre nel vento, che era quello, limpido e autentico, di una fine di settembre al mare che mai, come oggi, avrei pensato mi sarebbe stato più caro. Grandi e vigorose pedalate. Una voglia struggente di correre pedalando nel vento, dentro un sole incerto. A volte aveva appena smesso di piovere, pelo pelo arrivavo a non prenderla. Giravo annusando l’odore della pioggia e del mare, vicino agli alberi grandiosi della pineta che, a Fregene, era tanto impenetrabile, pericolosa e bellissima. Correvo verso il Villaggio dei pescatori, dall’altra parte del mondo per me bambina. Giravo tra le case chiuse ed i negozi socchiusi, privi di vita. La stagione finita.

Come oggi. In giro per Roma è il vuoto. Il vuoto più strano del mondo. Che può essere straniante e che a me, a tratti, dà la stessa idea di allora. Pedalare nel vento è quasi come essere un gabbiano che vola, vira e scende obliquo e perfetto nell’aria in cielo.

Erano belle le mie biciclettate al mare. Rientravo a casa dove c’era il profumo di peperoni cotti in un tutt’uno con l’odore dell’estate passata. E mi aspettavano tutti. Oggi aspetto io tra i profumi di una Roma persa e bistrattata, in cui anche il deserto non è riuscito a cancellare i macchinari rumorosi di fondo. Via via, solcando con i pedali le strade oggi in preda alla follia e a un delirio collettivo, respiro a pieni polmoni – alla faccia del virus esondato dai laboratori della Cina – dentro le vie ventose di Roma. Per fortuna che c’è qualche ventata decisa. Deve passare tanta aria in questa città, come in tutto il Paese. Dentro, si sente, quell’aria rassicurante e viva delle mie estati finite. Bisogna riaprire tutto, per ripartire.

Aggiornato il 30 aprile 2020 alle ore 13:21