È polemica per il rinvio, sine die, dell’udienza pubblica della Corte Costituzionale sulle eccezioni di incostituzionalità sul carcere per i giornalisti sollevata dai Tribunali di Salerno e Bari. Lo scontro è tra il sindacato (della Campania e dei cronisti romani) e il presidente dell’Ordine Carlo Verna sulle motivazioni del rinvio. In ragione dell’emergenza del Coronavirus il presidente della Corte Costituzionale aveva, con decreto, evidenziata la possibilità, al fine di consentirne la trattazione, di celebrare il procedimento nelle forme della camera di consiglio, senza la partecipazione delle parti qualora esse lo ritenessero sufficientemente istruito per iscritto. Altrimenti la decisione sarebbe stata rinviata a data da destinarsi onde consentire la pubblica udienza. L’avvocato del sindacato Francesco Paolo Chicchiarelli che rappresentata i due imputati per diffamazione il giornalista Pasquale Napolitano e il direttore del Roma Antonio Sasso e l’avvocatura dello Stato in rappresentanza della presidenza del Consiglio erano d’accordo sulla camera di consiglio essendo il procedimento sufficientemente istruito.
Ma ecco la sorpresa. Il difensore dell’Ordine, ammesso per la prima volta come terzo interventore in questa procedura, ha negato il consenso alla trattazione, tirando in ballo il premier Giuseppe Conte che, in altre circostanze, non si era dimostrato contrario al carcere dei giornalisti condannati in via definitiva per diffamazione aggravata a mezzo stampa. Per il presidente dell’Ordine Carlo Verna non si sarebbe dovuto fare a meno di una udienza pubblica per rendere evidente l’anacronistica sanzione edittale che affligge la libertà di stampa. Norma italiana già bocciata più volte dalla Corte giustizia europea. Considerando la procedura un processo a porte chiuse l’Ordine si è opposto alla trattazione, determinando il ritardo della soluzione. I Tribunali di Salerno e Bari avevano spiegato che era illegittima la detenzione per il reato di diffamazione prevista dall’articolo 595 del Codice penale e dalla legge sulla stampa del 1948 perché incompatibile con la libertà di stampa dei giornalisti garantita dagli articoli 3, 21, 25, 27, 117 della Costituzione in relazione all’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. La detenzione in cella rappresenta un limite sostanziale alla libertà d’informazione e quindi al sistema democratico italiano. L’Ordine dei giornalisti ha agito a fin di bene per non far passare la decisione sotto silenzio, senza filmati e ad insaputa dell’opinione pubblica? Si vedrà.
Il dato fondamentale è che la funzione della Corte Costituzionale è quella di risolvere le controversie in essere relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni. I due Tribunali si erano rivolti alla Consulta più di un anno fa. Negli ultimi quarant’anni si sono registrati fiumi d’inchiostro e decine e decine di iniziative parlamentari tutte insabbiate dai politici senza che la tormentata vicenda trovasse soluzione. Solo nel 2016 il Parlamento depenalizzò il reato di ingiuria. C’è un altro particolare ricordato da Pierluigi Franz. Stupisce che non si sia trovata ancora una soluzione a distanza di 143 anni dal duello che si svolse a Roma la sera del 18 maggio 1877 tra un deputato e un giornalista del quotidiano Fanfulla per un articolo ritenuto diffamatorio. Da quell’episodio nacque il sindacato dei giornalisti.
Aggiornato il 17 aprile 2020 alle ore 12:39