
Negli ultimi mesi una ragazzina svedese, paladina del vetero-ambientalismo più nozionistico, ha scandito le giornate di tanti cittadini. Parlo di Greta Thunberg, la 15enne attivista di Stoccolma che con il suo volto da creatura fiabesca e la voce fiera ha dato vita a tanti “scioperi scolastici per il clima”, poi tramutati nel movimento Friday for future, che ha unito nella lotta all’inquinamento milioni di giovani (e meno giovani) in tutto il mondo.
Ma dalla Svezia arriva un’altra attivista, di tutt’altra intonazione rispetto a Greta: è Izabella Nilsson Jarvandi, anche lei adolescente e spietata. Nei suoi post nessun accenno ai problemi climatici ed ambientali, ma solo molti ricorrenti moniti: “No all’immigrazione” e no all’ideologia “gender”. Ed è così che per Izabella è arrivata la fama di anti-Greta.
Due ragazze simili, sfrontate. Una tutta risucchiata dal successo e dal forte ascendente su ragazzi, capi di Stato, diplomatici, pontefici e quant’altro le dia un piglio da influencer; un’altra che grida forte contro il globalismo, l’accoglienza e i diritti civili. Della serie: “piccole sovraniste crescono”.
Con l’unica differenza che Greta non è né la prima né sarà l’ultima a farci sentire in colpa quando compriamo bicchieri di plastica. Basta ricordare Severn Suzuki, che nel 1992 tenne un discorso apocalittico all’Onu sulle sorti del pianeta, aprendo così la strada all’attivismo ambientalistico dei giovani. A distanza di quasi vent’anni – con la Thunberg – ecco un’altra imbonitrice dallo sguardo di ghiaccio, con le treccine da eroina da cartone animato e la voce da giudice dell’Inquisizione. Nulla di nuovo, quindi. Difatti, anche la sua stella si sta eclissando.
Mentre Izabella Jarvandi sta portando dei contenuti nuovi e mai trattati, almeno in maniera così convincente, da un’adolescente. In un mondo che vuole dissimulare i dubbi di tante persone perplesse dalla gravità delle grandi migrazioni (che spesso portano ad incontrarsi culture troppo diverse), dove i soliti pochi Paesi devono diventare centri d’accoglienza a cielo aperto e dove l’immigrato è sempre la vittima e colui che è obbligato ad accogliere sempre il carnefice tutto nazionalismo e (pseudo)razzismo, la voce di questa giovane si scaglia e offre riflessioni attente, e mai semplicistiche.
Un’altra tematica su cui Izabella è ferocemente attiva è quella dell’ideologia gender: e qui ci si scontra con il lobbysmo più bieco e grottesco, pilotato dagli ultra-democratici carri Lgbt. L’ideologia gender, sintetizzando al massimo, sostiene che le differenze tra maschi e femmine derivino dall’educazione. Essere una donna o un uomo, quindi, è solo una scelta culturale. Costoro vanno contro le più note verità scientifiche che, parlando della specie umana, riconoscono pienamente la differenza biologica e anatomica tra i due generi. Per i paladini del gender si può tranquillamente essere “indecisi” e sentirsi un giorno femmina e un giorno maschio, sempre a seconda delle influenze culturali, antropologiche, artistiche. Con queste posizioni Izabella è diventata un personaggio scomodo per i servi del politicamente corretto e della sinistra più liberal (e magari radical chic).
Le sue riflessioni, invece, portano all’attenzione la drammatica deriva dei valori della famiglia e del senso di nazionalità, che ogni giorno sono minati da persone che si ritengono mentalmente aperte, che nelle loro feste mangiano formiche e pattume alternativo, si vestono come abitanti del deserto e discutono di quanto sia triste e noiosa la famiglia tradizionale, di quanto sia giusto accogliere (a spese dello Stato, mica loro) e di quanto la difesa di valori millenari sia sinonimo di razzismo ed esclusione.
Aggiornato il 10 marzo 2020 alle ore 12:53