Aboliamo l'otto marzo

Tra pochi giorni sarà uno dei soliti, immancabili appuntamenti delle festività laiche, create artatamente dal mercato per indurre al consumo gente che – saggiamente – per secoli non ne ha mai sentito alcuna necessità, ed ecco che puntuale come un casellante svizzero, si avvicina su un tacco dodici l’“8 marzo”, altrimenti più tristemente noto come “festa della donna”.

Uno dei “vantaggi” delle nuove, psicotiche, norme imposte da questo governo per l’imprendibile – neanche fosse Fantomas – Coronavirus, alias Covid19, è quello che magari, vietando gli assembramenti in pubblico, eviterà anche le reunion ottomarziche. Dovendo mantenere tra le persone una distanza di almeno due metri si creerà qualche difficoltà anche ai superdotati stripper infatti.

Giornata dedicata all’“universo femminile”, in maniera ipocrita e falsa non soltanto da tutti coloro che, buoni mariti, fidanzati, o altro per giorni e giorni si fanno i comodi loro e improvvisamente quella sera si presentano con mazzi di fiori e cioccolatini – magari poche ore prima sono stati a trans – o con una cena al ristorante sotto casa, ma peggio di tutte da parte delle donne stesse.

Quelle che si aggirano per locali, a pessima imitazione contemporanea di Menadi e Baccanti, in forsennata cerca di spettacoli di dubbio gusto con spogliarelli maschili, sentendosi in dovere d’imitare nel peggio la loro controparte. Femministe di rimbalzo, a singhiozzo, a tempo determinato, avvilenti nella loro perduta dignità muliebre. L’8 marzo andrebbe abolito per legge internazionale, vietato dal buon senso e dal buon gusto soprattutto, perché per secoli la cultura e l’arte hanno riconosciuto uno status di assoluto predominio alla donna, in ogni sua manifestazione umana e divina, senza che nessuno stabilisse un giorno dedicato e noi invece, figli del Secolo breve, la sviliamo sino a questo punto.

I versi di Catullo, il Cantico dei Cantici, le canzoni dei Trovatori e giù, lungo l’immenso scorrere del tempo, nelle poesie di ogni paese e di ogni cultura si è cantata e magnificata la donna, non in un solo giorno, ma ogni giorno e ogni notte come quell’ignoto giapponese dell’epoca Nara che scrive con struggente desiderio questi versi alla propria amata mentre sta per salpare verso il Regno di Corea

Là dove il mare si quieta a sera

Le sue ali il gabbiano piega...

Quando da tè sarò lontana

Io certo morirò per amore.

Sulla mia nave altera

Tu potresti salire...

Stenderò le mie vele sopra di te

E poi salperò.

Quando l'autunno ritornerà.

Ancora noi ci incontreremo.

Devo aspettare la marea

E rimpiango di averti lasciata.

Su quella spiaggia lontana.

Dove tu ora stai dormendo,

Verrà la nebbia dal mare tu

Come il respiro dei miei sospiri.

Dunque dimentichiamo questo giorno, falso e bugiardo, per non dimenticare mai invece la bellezza, l’amore, il desiderio, la passione che dobbiamo alle donne, che siano esse le nostre madri, le nostre amanti, fidanzate o spose e senza le quali nessun artista né uomo potrebbe fare grandi cose.

Aggiornato il 06 marzo 2020 alle ore 11:02