mercoledì 5 febbraio 2020
“Il Tribunale di Roma ha confermato il mio diritto di critica verso l’operato dell’ex ambasciatore del Marocco in Italia, ma per Imane Fadil giustizia deve essere ancora fatta”.
Ad affermarlo è Souad Sbai, Presidente dell’Associazione delle Donne Marocchine in Italia-Acmid, in riferimento al caso della modella marocchina Imane Fadil deceduta lo scorso 1° marzo, dopo oltre un mese di agonia, presso l’ospedale Humanitas di Milano, per ragioni e in circostanze che restano ancora da chiarire.
Nell’occasione, la Sbai aveva chiamato in causa l’ex ambasciatore Abouyoub Hassan, successivamente dislocato in Romania, per lo scarso interesse mostrato nel corso della vicenda, e quest’ultimo, non l’Ambasciata, aveva sporto querela accusandola di aver diffamato lui e le istituzioni marocchine.
“In quanto primo rappresentante della comunità marocchina in Italia, sarebbe stato suo dovere intervenire in segno di solidarietà e vicinanza, non dopo 17 giorni ma immediatamente”, ha ribadito il presidente di Acmid.
La difesa dagli avvocati Daniele Costi e Potito Flagella ha evidenziato “la pertinenza del caso Fadil con lo scopo dell’Associazione Acmid, che si occupa della tutela dei diritti delle donne marocchine in Italia. La critica compiuta era pertanto legittimamente finalizzata a svolgere attività di sensibilizzazione rispetto al decesso di una cittadina marocchina in territorio italiano”, spiega Sbai.
Sulla vicenda di Imane Fadil, la Procura di Milano ha chiesto l’archiviazione del caso, in quanto il decesso sarebbe avvenuto per cause naturali. “Fadil sarebbe morta per una forma rara di aplasia midollare ma come ha potuto contrarre una simile malattia? - si domanda Souad Sbai - Nel sangue di Imane era stata riscontrata una quantità di metalli superiore alla media, mentre tracce di sostanze radioattive sono state rilevate nelle urine. Occorre una nuova perizia sul corpo che fornisca risposte soddisfacenti. L’inchiesta sulla morte di Fadil non può essere archiviata senza che la piena verità venga accertata”.
AGGIORNAMENTO
“Non luogo a procedere perché il fatto non costituisce reato: la sentenza del Tribunale di Roma, ex art. 425 comma 1 c.p.p., salvaguardia il mio diritto di critica verso l’operato dell’ex ambasciatore del Marocco in Italia, Abouyoub Hassan”.
Ad affermarlo è Souad Sbai, presidente dell’Associazione delle Donne Marocchine in Italia-Acmid, in riferimento al caso della giovane modella marocchina, Imane Fedil, deceduta lo scorso 1° marzo in un ospedale di Milano per cause che restano ancora da chiarire.
“Sapevo di essere nel giusto nel chiamare in causa l’ex ambasciatore per lo scarso interesse mostrato verso l’accaduto”, sottolinea Sbai, difesa con successo dagli avvocati Daniele Costi e Potito Flagella nel procedimento intentato nei suoi confronti dal diplomatico. In seguito al clamore suscitato dalla vicenda, Abouyoub Hassan è stato assegnato come ambasciatore in Romania e non più in Giappone, come previsto inizialmente.
D’altro canto, prosegue la presidente di Acmid, “alla richiesta di spiegazioni sul perché del silenzio di 17 giorni, nonché sull’ipotesi di un coinvolgimento di ambienti dell’alta diplomazia marocchina, Hassan non ha mai fornito alcuna risposta. Mentre il Tribunale di Roma ha riconosciuto che la forte stigmatizzazione contenuta nelle mie dichiarazioni non era in alcun modo riconducibile alle istituzioni del Regno del Marocco”.
“La sentenza del Tribunale di Roma - evidenzia la Sbai - è una vittoria importante, poiché sancisce inequivocabilmente come le accuse che mi sono state mosse dall’ex ambasciatore sono del tutto prive di fondamento”.
“Il sostegno ricevuto da numerosi politici, giornalisti ed intellettuali in Marocco - conclude - è segno di come il diritto di critica da me esercitato era volto legittimamente a sensibilizzare l’opinione pubblica rispetto al decesso di una cittadina marocchina avvenuto in circostanze controverse in territorio italiano”.
di Redazione