Pio IX, Ezio Bosso e Roma Capitale

L’altro giorno al Teatro dell’Opera di Roma, alla presenza del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ricevuto dagli onori della banda interforze diretta dal colonnello dei carabinieri Massimo Martinelli, sono iniziate le celebrazioni per i 150 anni della designazione di Roma capitale d’Italia, avvenuta il 21 gennaio 1871, dopo i passaggi di Torino e Firenze.

Pochi mesi prima, il 20 settembre 1870, i bersaglieri del generale Cardona avevano aperto una breccia nelle Mura Aureliane, nei pressi di Porta Pia, ed erano entrati a Roma mettendo fine al dominio dell’ultimo Papa Re, Pio IX. Veniva così completata quell’Unità d’Italia il cui processo era iniziato con il suggello di Cavour il 17 marzo del 1861, giorno della proclamazione del Regno d’Italia. Tra le principali figure ad impedire il completamento del regno era emersa quella di Napoleone III, imperatore francese contrario alla sparizione dello Stato Pontificio, ostacolo che venne meno con la caduta del Secondo Impero nel 1870.

Il sindaco Virginia Raggi nel suo intervento ha rammendato come la capitale pontificia alla vigilia di Porta Pia contava circa 250mila abitanti ed era una specie di grande borgo nel quale spiccavano le antiche vestigia della grandezza passata che si confondevano con il percorso dei pastori e delle loro mandrie. La Roma capitale voleva diventare una grande città europea e moderna. Il governo italiano non si limitò a occupare gli antichi palazzi della Roma papale e diede, infatti, impulso alla costruzione di edifici che potessero testimoniare il nuovo corso.

Ma ciò che caratterizzò i primi anni di vita unitaria italiana, e ne segnò per molti aspetti il destino, fu il conflitto tra Stato e Chiesa che portò al famoso decreto “non expedit” con il quale il Papa vietava a tutti i cittadini cattolici di partecipare alla vita politica del Regno.

Il clima del tempo non sembrerebbe neppure esistito sentendo però le parole del cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin che nel suo intervento di saluto ha letto il messaggio di Papa Francesco: “La proclamazione di Roma Capitale fu un evento provvidenziale, che allora suscitò polemiche e problemi. Ma cambiò Roma, l’Italia e la stessa Chiesa: iniziava una nuova storia – ha scritto il Papa nel suo messaggio – In 150 anni, Roma è tanto cresciuta e cambiata, da ambiente umano omogeneo a comunità multietnica – ha aggiunto il Papa citando Giovanni Paolo II – la Chiesa, in questa vicenda, ha condiviso le gioie e i dolori dei romani”.

Bergoglio ha rievocato poi tre momenti di questa storia comune: “I nove mesi dell’occupazione nazista della città, segnati da tanti dolori, tra il 1943 e il 1944. Dal 16 ottobre 1943, si sviluppò la terribile caccia per deportare gli ebrei. Fu la Shoah vissuta a Roma. Allora la Chiesa fu uno spazio di asilo per i perseguitati: caddero antiche barriere e dolorose distanze. Da quei tempi difficili – ha proseguito il Santo Padre – traiamo prima di tutto la lezione dell’imperitura fraternità tra Chiesa cattolica e Comunità ebraica, da me ribadita nella visita al Tempio Maggiore di Roma. Inoltre siamo anche convinti, con umiltà, che la Chiesa rappresenti una risorsa di umanità nella città. E i cattolici sono chiamati a vivere con passione e responsabilità la vita di Roma, specie i suoi aspetti più dolorosi”.

Papa Francesco ha ricordato inoltre gli anni del Concilio Vaticano II, dal 1962 al 1965, quando “Roma brillò come spazio universale, cattolico, ecumenico. Divenne città universale di dialogo ecumenico e interreligioso, di pace. Si vide quanto la città significhi per la Chiesa e per l’intero mondo”.

Infine, il cosiddetto convegno sui “mali di Roma” del febbraio 1974, voluto dall’allora cardinale vicario Ugo Poletti: “Ci si pose in ascolto dell’attesa dei poveri e delle periferie. Lì, si trattò di universalità, ma nel senso dell’inclusione dei periferici. La città deve essere la casa di tutti. È una responsabilità anche oggi: le odierne periferie sono segnate da troppe miserie, abitate da grandi solitudini e povere di reti sociali”.

Parole più che mai veritiere quelle sulla multietnicità di una Roma aperta a tutti che, infatti, non trovano applicazione in quel che rimane del piccolo Stato territoriale del Vaticano ove può avervi ingresso solo chi ha giustificate e ben vagliate ragioni.

Dal messaggio del Papa hanno tratto spunto gli interventi di Gigi Proietti e Paolo Mieli ma la serata da un clima culturale è passata ad un clima altamente emotivo con l’esecuzione di brani di Mozart e Rossini da parte dell’orchestra dell’Opera diretta da Ezio Bosso. Eleganza, gestualità magica, quel sorriso sempre stampato sulla bocca, la bacchetta protesa verso il cielo, sono stati regali preziosi che la città ha dato ai presenti.

Bosso, torinese, nella magnifica cornice del Teatro dell’Opera è riuscito a far sognare e a far riconciliare romani e non romani in platea con quella città dai grandi disagi quotidiani definita comunque a partire da Tito Livio sino a Byron, Goethe, D’Annunzio, città dell’anima, eterna, capitale del mondo.

Aggiornato il 04 febbraio 2020 alle ore 12:58