
Si sta distruggendo il giornalismo professionistico. Ne sono convinti in molti. Nella legge di bilancio 2020, con la scusa di far fronte alla crisi delle aziende editrici, è stato previsto che il Tesoro (Stato) erogherà finanziamenti per 7 milioni per quest’anno e altri 3 milioni dal 2021 al 2027.
In realtà per l’Istituto di previdenza (Inpgi) il costo dei prepensionamenti delle aziende che hanno presentato piani di riorganizzazione e ristrutturazione è molto più elevato. Sarebbe stato più corretto che la cifra dell’intervento, verificato da parte dell’istituto venisse inviata al Tesoro che avrebbe potuto accollarsi, con dati certi, l’intero costo dei provvedimenti.
A questi aspetti se ne aggiunge un altro. È grave che nella legge di bilancio venga consentito un turn-over che preveda un ingresso contrattuale ogni due uscite. In questa maniera si aggrava la proporzione tra pensionati (arrivati a 10mila circa) e attivi (che non superano ormai i 15mila contratti di professionisti).
Ma al peggio con c’è mai fine. Ecco allora che il Governo e il Parlamento sfornano una norma che distrugge il giornalismo professionistico. La legge consente agli editori “l’assunzione a figure professionali che non per forza devono essere giornalisti”. Una mazzata contro le norme della legge istitutiva dell’Ordine che precisano le modalità e i paletti (esame di Stato) per diventare giornalisti ed esercitare la professione (esiste nel codice penale anche il reato di esercizio abusivo della professione).
Dietro i tentativi di porre mano alle difficoltà dell’istituto si stanno “sbriciolando” principi consolidati. Neppure in altri Paesi europei e nel mondo anglosassone dove non esiste l’Ordine dei giornalisti sono ammesse ad esercitare la professione lavoratori senza le garanzie di alcune regole previste nella “Carta dei giornalisti”, le “papier” che indica la figura del reporter/cronista.
Nell’attuale serrata fase pre-elettorale per il rinnovo dei vertici dell’Inpgi (12-15 febbraio) si assiste ad una campagna per convincere che sia “buono e giusto per definire le modalità risanamento dell’istituto l’ingresso di figure del mondo della comunicazione”. Cioè alla generica categoria dei comunicatori.
È soprattutto la presidente uscente Marina Macelloni (in carica dal 2016) ad insistere a perorare “un processo di allargamento della platea degli iscritti all’Inpgi”.
È una soluzione? I guai finanziari dell’istituto sono di lunga data e molti rimpiangono le gestioni di Guglielmo Moretti e di Gabriele Cescutti.
Il problema della necessità di ritrovare l’equilibrio finanziario è diventato reale ma la dirigenza avrebbe avuto altre strade da percorrere e il Parlamento non aiuta certo l’editoria in crisi se apre le porte solo per il 2020 ad altri 150 prepensionamenti.
Sulle responsabilità dei vertici dell’Ordine, dell’Inpgi (da decenni quasi sempre gli stessi alla Federazione nazionale della stampa) pesano anni di mancata riflessione su un fenomeno sempre più dirompente rilevato dal Censis. Un italiano su tre s’informa da varie fonti, il 73 per cento si aggiorna su smartphone e solo il 38 per cento legge quotidiani o settimanali quando nel 2007 la percentuale era del 67 per cento e le tirature raggiungevano circa 6 milioni di copie al giorno contro i due milioni attuali.
La scadenza del commissariamento a giugno è vicina.
Aggiornato il 23 gennaio 2020 alle ore 13:43