Reggio Emilia, si è arreso il sequestratore alle Poste

lunedì 5 novembre 2018


Ha preso in ostaggio, per sette ore, cinque persone all’ufficio postale di Pieve Modolena, a Reggio Emilia. Il 55enne Francesco Amato è entrato alle Poste urlando: “Vi ammazzo tutti”. Sono le 9.30 del mattino quando l’uomo, condannato a 19 anni nel processo Aemilia contro la ‘ndrangheta, entra, armato di coltello, e prende in ostaggio cinque donne, quattro impiegate e la direttrice, nella filiale delle Poste. Una donna ha accusato un malore. Così Amato ha deciso di farla uscire per essere soccorsa. Ma ha trattenuto le altre quattro fino alle 16.43. Quando il sequestratore si è arreso alle forze dell’ordine. I carabinieri, infatti, hanno fatto irruzione nell’ufficio. Amato è stato bloccato e portato fuori. Il colonnello dei carabinieri Cristiano Desideri ha detto che “l’uomo si è consegnato spontaneamente alla fine della negoziazione e non ci sono stati feriti. Gli abbiamo fatto capire che i sequestrati non avevano colpe. Ce l’abbiamo fatta col tempo e con la pazienza facendo leva sul suo senso di umanità. Non ha fatto del male a nessuno e neanche minacciato. Protestava contro una sentenza a suo parere ingiusta ribadendo di non essere uno ndranghetista. Voleva parlare con il ministro Salvini, ma alla fine si è accontentato di parlare con noi. Eravamo pronti a intervenire, grazie al cielo è bastata la persuasione”.

Amato, dal momento della sentenza del maxi-processo “di ‘ndrangheta Aemilia”. “Diciannove anni sono un’ingiustizia che fa ribollire il sangue – dice la nipote – e lui è questo che vuole dire col suo gesto, del quale non so nulla e che sicuramente è sbagliato. Ma non è andato dentro per far del male. Vuole una riduzione della pena”.

Francesco Amato è stato condannato il 31 ottobre a 19 anni e un mese di reclusione nel processo Aemilia, con l’accusa di essere uno degli organizzatori dell’associazione ‘ndranghetistica. Assieme al fratello Alfredo, secondo i magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Bologna era “costantemente in contatto con gli altri associati (e della famiglia Grande Aracri) in particolare per la commissione su richiesta di delitto di danneggiamento o minaccia a fini estorsivi, commettendo una serie di reati”. Nel 2016, all’inizio del processo, lo stesso Amato aveva affisso un cartellone davanti al tribunale di Reggio Emilia. Amato si era autodenunciato poi in aula definendosi l’autore di quel cartellone in cui, diceva, “era anche contenuto il nome dell’autore delle presunte minacce al presidente del tribunale di Reggio Emilia Cristina Beretti”, per le quali sono state arrestate nelle scorse settimane due persone, tra le quali un sacerdote.

Il processo Aemilia ha visto il 31 ottobre la conclusione del suo dibattimento, con 118 condanne per oltre 1.200 anni di carcere e altre 24 in abbreviato: tra questi anche l’ex calciatore Vincenzo Iaquinta (due anni per reati di armi, ma senza aggravante mafiosa) e 19 per il padre Giuseppe. Sempre in abbreviato, sono già definitive in Cassazione le condanne per i promotori dell’associazione a delinquere di stampo mafioso contestata dalla Dda, che nel 2015 fece scattare oltre 160 arresti, assestando un forte colpo “alla ‘ndrangheta imprenditrice”.

 


di Redazione