venerdì 19 ottobre 2018
Niente sala mensa né spazi per il culto, la polizia che nega qualsiasi attività ricreativa in comune per motivi di sicurezza, solo una doccia su quattro funzionante, bagni senza porte, luci accese anche di notte nelle stanze per il pernottamento. Diverse “gravi criticità” sono state riscontrate dal Garante nazionale per i diritti dei detenuti in 4 dei 5 Centri di permanenza per il rimpatrio attivi (Brindisi-Restinco, Palazzo San Gervasio (Pz), Bari e Torino) visitati tra febbraio e marzo scorsi. Il Viminale replica segnalando che gli sforzi per migliorare le strutture sono spesso vanificati dai “continui e violenti comportamenti degli ospiti in danno dei locali e degli arredi”.
Il nuovo rapporto del Garante Mauro Palma conferma il giudizio negativo sui Centri espresso nella precedente relazione riferita al 2007. Rilevando in particolare l’assenza di locali in comune e di alcuni elementi di arredo che “pregiudicano pesantemente la qualità della vita” e determinano il “rischio di situazioni di degrado anche nell’esercizio dei più elementari diritti primari”. La vita nei Cpr, osserva il Garante, pare “assimilabile a quella di un ambiente carcerario”, con sbarre, talvolta alte cancellate metalliche e l’impossibilità per gli ospiti di muoversi tra i diversi moduli. Chi sta dentro i Centri vive dunque in una condizione di “mero confino rispetto a una realtà statuale che prima ancora del rimpatrio fisico lo esclude dalla propria collettività, quasi considerandolo come ‘non persona’“. Per ognuna delle criticità segnalate Palma rivolge delle raccomandazioni al Viminale.
Da parte sua, il ministero risponde punto per punto ai rilievi. Il capo del Dipartimento Immigrazione, Gerarda Pantalone, sottolinea che l’amministrazione è “costantemente impegnata” a migliorare i Centri e mantenere standard di vivibilità, “nel pieno rispetto dei diritti della persona e della sua dignità; ma ogni sforzo compiuto, con significativi oneri, viene spesso vanificato dai continui e violenti comportamenti degli ospiti in danno dei locali e degli arredi, con dirette negative conseguenze sulle loro stesse condizioni di vita”. Il prefetto segnala poi che i Cpr “sono luoghi di trattenimento temporaneo di cittadini di Paesi terzi in attesa dell’esecuzione dei provvedimenti di allontanamento dal territorio italiano, e pertanto ontologicamente diversi dalle strutture di detenzione penitenziaria, in cui le finalità punitive coesistono con quelle rieducative e di riallocazione sociale”. Tra l’altro, aggiunge, “sono caratterizzati da frequenti turnover e quindi incoerenti con la programmazione e lo sviluppo di attività individuali a carattere duraturo”. Quanto alla carenza di spazi comuni all’interno, la dirigente del Viminale invita a considerare, “oltre al generalizzato disinteresse degli ospiti ad essere coinvolti in qualsivoglia attività organizzata nel tempo libero, l’insufficienza del numero di strutture rispetto alla crescente esigenza di rimpatrio degli stranieri irregolari, e quindi l’ineludibile necessità di utilizzare ogni spazio idoneo all’interno del Centro per aumentarne la capienza”.
di Redazione