In Rai accusano: tutto in appalto

sabato 30 settembre 2017


Si arriverà alla trasparenza dei conti Rai e alla chiarezza delle “comparsate” (pagate, gratuite, con scambio di favori) di artisti, scrittori, giornalisti, politici nelle varie trasmissioni delle reti del servizio pubblico (pagato con il Canone)?

La strada è in salita. Ma prima o dopo bisognerà arrivarci. Per due motivi: le regole europee sulle televisioni pubbliche impongono di separare i costi e le entrate tra quelli che occorrono per trasmissioni di servizio pubblico e quelle derivanti dagli introiti pubblicitari. In secondo luogo, per evitare conflitti d’interessi tra agenti, conduttori ed artisti. Un fenomeno in via di espansione negli ultimi tempi. È venuto alla luce che un conduttore (tipo Fabio Fazio, ma non è il solo) è coinvolto nella società (“L’Officina”) che produce la trasmissione “Che tempo che fa”, approdata a Rai Uno, la rete ammiraglia del servizio pubblico da Rai Tre. E già alla prima puntata è scoppiato il caso con “l’ospitata” del comico Maurizio Crozza, che ha l’esclusiva per il canale Nove di Discovery, ma fa parte della scuderia Itc 2000 di Beppe Caschetto, che comprende anche Luciana Littizzetto, Geppi Cucciari, Miriam Leone, Pif e Fabio Volo. Della scuderia fanno parte anche i giornalisti Roberto Saviano, Massimo Gramellini (ma non è il vicedirettore del Corriere della Sera?), Giovanni Floris (“Dimartedì”, su La7), Lucia Annunziata (che si è allargata a un’ora su Rai Tre), Corrado Formigli (“Piazza Pulita”, su La7), Lilli Gruber (“Otto e mezzo”, su La7) e Cristina Parodi.

Legati alla società “Arcobaleno Tre” dell’agente Lucio Presta, ci sono Roberto Benigni, Paolo Bonolis, Antonella Clerici, Amadeus, Paola Perego, Ezio Greggio (“Striscia la notizia”), Salvo Sottile (“Mi manda Rai Tre”). Il discorso si potrebbe allargare. Uno scambio continuo di personaggi che andava avanti da molto tempo da un broadcaster all’altro. Ai tempi di Ettore Bernabei, direttore generale negli anni democristiani, i personaggi Rai erano ben riconoscibili e individuabili con l’azienda. Qualche osservatore dirà che non derivava da una scelta aziendale ma dal monopolio. Successivamente, però, con Biagio Agnes e Villy de Luca era obbligatorio per i giornalisti e star con contratto Rai chiedere il permesso al direttore del Gr, Tg o rete per partecipare a trasmissioni o manifestazioni di altri media. Da alcuni anni le maglie si sono allargate. Tutti vanno e vengono dove più conviene. Dopo varie segnalazioni la Commissione parlamentare di vigilanza ha approvato, all’unanimità, una risoluzione che punta a fare chiarezza in materia di conflitti d’interessi tra agenti e star, tra conduttori e giornalisti. Per questi ultimi l’escamotage per avere retribuzioni superiori al tetto Rai (240mila euro) è stato quello di dimettersi dall’Ordine dei giornalisti e passare nella categoria degli autori, come ha fatto Bruno Vespa con “Porta a Porta”, pagando i contributi previdenziali non all’Inpgi ma alla ex Enpals.

L’esempio sembra che sia stato seguito da Massimo Giletti, che ha lasciato la Rai per La7, mentre Nicola Savino ha abbandonato la Rai di “Quelli che il calcio” per tornare alla trasmissione “Le Iene” (Italia Uno) con una “proposta concreta e irrinunciabile”. Anche Michele Santoro produce in proprio. La Commissione di vigilanza della Rai ha ora chiesto ai vertici di viale Mazzini di adottare entro 90 giorni una serie di provvedimenti per evitare che società di produzione controllate o collegate ad agenti che rappresentino star artistiche o conduttori giornalisti possano ottenere contratti di produzione. Viale Mazzini dovrà, inoltre, pubblicare, sul proprio sito web, i guadagni degli agenti e co-produrre film con società di cui siano titolari agenti che rappresentino artisti legati alla televisione pubblica da altri contratti.

Un percorso non facile e non mancheranno le frenate sia perché manca ancora una specifica legge (quella generale sul conflitto d’interessi) sia perché sarebbe discriminatorio diversificare le regole del mercato solo per la Rai. Bene quindi la risoluzione, ma già il Consiglio d’amministrazione di viale Mazzini potrebbe varare una guida d’indirizzo a cui dovrebbero attenersi tutti i soggetti che utilizzano appalti e artisti. Se si parla con qualche dipendente dell’azienda pubblica si hanno alcune risposte preoccupanti: in Rai è tutto un appalto (impianti, macchine, montaggi, riprese, collegamenti, contratti a tempo determinato fino a 8 mesi).

Tutte le strutture Rai sono rimaste indietro con l’arrivo del digitale. I collegamenti dei giornalisti sono fatti in prevalenza da operatori in appalto che sono dotati di uno zainetto per il montaggio, le riprese e la trasmissione. Se lo zainetto è di buon livello le immagini Rai sono nitide, altrimenti non si fa più caso alla qualità. E così vanno in archivio produzioni scadenti che spesso la piccola redazione delle Teche scarta. Per non parlare poi della situazione precaria delle sedi regionali, ormai quasi abbandonate a se stesse e battute dalle televisioni locali che hanno attrezzature in digitale.


di Sergio Menicucci