Tv: la sfida dei palinsesti

Lanciata la sfida dei palinsesti televisivi autunnali. I quattro gruppi editoriali principali (Rai, Mediaset, La7, Sky) non si sono risparmiati nel presentare programmi, big artistici, conduttori di trasmissioni di approfondimento, chiamati una volta talk show. Non sono mancati tentativi di strappare personaggi alla concorrenza, polemiche di turbativa del mercato, accuse di conflitti d’interessi tra agenti di artisti e conduttori. Anche la televisione di Stato (l’azionista di maggioranza della Rai è il ministero del Tesoro e l’ultima parola per la scelta del presidente e del direttore generale spetta a Palazzo Chigi) è scesa sul mercato con contratti faraonici pluriennali che continuano a sollevare polemiche. Il contratto di Fabio Fazio è sotto i riflettori della Corte dei Conti non tanto per i 2,8 milioni all’anno per un quadriennio, quanto perché le puntate di “Che tempo che fa” sono prodotte da una società composta, al 50 per cento dallo stesso Fazio e per l’altro 50 per cento dalla società storica Magnolia di Bibi Ballandi, alla quale, peraltro, è legata anche Milly Carlucci. Su questo argomento è intervenuto ancora una volta Michele Anzaldi del Pd, segretario della Commissione di vigilanza Rai, che invita la tivù di Stato ad assumere procedure per evitare conflitti d’interesse nei rapporti tra gli artisti e i loro agenti che “possono comportare ingiustificati benefici e sprechi di denaro pubblico”.

Mentre Pier Silvio Berlusconi presentava a Montecarlo i palinsesti Mediaset partendo da Maria De Filippi, Paolo Bonolis, “Striscia la notizia” di Antonio Ricci, “Le Iene”, Gerry Scotti e Maurizio Costanzo, ha destato perplessità che “Gazebo”, la Gialappa’s band, Adriano Celentano, Gianni Morandi, Al Bano, Nicola Savino e Simona Ventura siano andati a rafforzare la scuderia del gruppo di Cologno Monzese. L’immagine dell’azienda del servizio pubblico è offuscata dalle incertezze derivate dal cambio della direzione generale e da quello di alcune strutture sia di programmazione che informative. E questo in un periodo delicato per il Paese dal punto di vista economico e politico. Ricordiamoci che le elezioni politiche sono previste alla scadenza della legislatura, nel febbraio 2018.

Gli assi di Mediaset sono sempre Maria De Filippi e Paolo Bonolis che, benignamente vennero “prestati” nel 2009 alla Rai per il Festival di Sanremo. Di recente, lo stesso Bonolis, è stato il volto tivù del mega-concerto di Modena di Vasco Rossi, sulla Rete ammiraglia. Come se i 150 giornalisti a disposizione non fossero sufficienti o idonei a portare nelle case una serata-evento. Confrontando i programmi dei quattro gruppi televisivi si ha l’impressione che rispetto alle tivù europee ci sia un dispendio di energie e di soldi eccessivo. Troppe trasmissioni, dirette da ogni parte, film in quantità industriale.

Lo spettatore televisivo è ormai maturo: sceglie non più soltanto con il telecomando. Con due novità che presto rivoluzioneranno il mondo della comunicazione. La prima arriva dalle analisi di Lorenzo Sassoli de Bianchi, presidente dell’Upa, l’associazione delle aziende che investono in pubblicità. Il mercato pubblicitario, sostiene Sassoli de Bianchi, è in leggera ripresa, dopo gli anni neri che vanno dal 2009 al 2016 e, vede una crescita della raccolta nelle tv generaliste, una tenuta per le radio e Internet e una continua discesa per la carta stampata. La seconda novità è che in cinque secoli si sono verificate tre rivoluzioni: quella provocata con la stampa di Gutenberg, quella arrivata con l’invenzione della radio da parte di Guglielmo Marconi e la terza con la televisione in tutte le case.

Ora, osserva il presidente dell’Upa, l’accelerazione tecnologica sta producendo un nuovo fenomeno che gli inglesi chiamano “Nomofobia”, ossia la paura di restare senza connessione. Google, Facebook, YouTube, Instagram, Apple, Amazon riescono a raccogliere 1,8 miliardi di euro su una torta di 2,3 miliardi di investimenti sul digitale. È in atto una corsa da parte di tutte le piattaforme a produrre o comprare programmi, contenuti, ottenere esclusive, soprattutto nello sport. La battaglia tra i francesi di Vivendi e il gruppo Mediaset (il cui mancato acquisto di Premium pesa sui conti per circa 300 milioni di euro) passa anche da qui.

Aggiornato il 10 luglio 2017 alle ore 20:30