
Nei giorni scorsi i media hanno rilanciato la notizia del piccolo Charlie Gard, un bimbo di pochissimi mesi affetto da una grave malattia genetica, la deplezione del Dna mitocondriale: una malattia molto rara e degenerativa che colpisce i geni causando un progressivo deperimento muscolare. Ritenuta inguaribile dai medici, per cui un tribunale inglese ha intimato di staccare la spina del macchinario che lo tiene in vita.
Due genitori posti davanti al più atroce, infame dilemma: sperare nella vita o cedere all’ineluttabilità della morte. Un tuffo nelle profondità dell’anima, un’apnea da cui è impossibile risalire senza toccare i fondali più oscuri e reconditi dell’essere umano. Concepire un figlio è un viaggio che si compie in due, e si termina in tre. Ma quando la natura ti pone davanti un bivio come quello davanti al quale si trovano i genitori di Charlie, allora lì entrano in campo altre forze. Quando si resta soli con se stessi, i propri pensieri; quando seduti sulle sedie di un ospedale si deve scegliere cosa sia meglio per tuo figlio, che viene sempre prima di te e dei tuoi egoismi; allora lì entra in gioco una forza superiore. Non è di tutti, ma è per tutti. Si chiama Fede. Si chiama Vita. E fanno rima con Speranza. Quella che Papa Francesco aveva detto di non farsi togliere. Ed è ciò che i genitori del piccolo Charlie hanno scelto per loro figlio. Per quel “dopo” che normalmente dovrebbe far sopravvivere i figli ai padri, ma che a volte è un privilegio non concesso. I genitori di Charlie avevano chiesto alcune ore ancora per respirare loro figlio, la sua essenza, il suo odore; per vederne le espressioni, gli occhi, la bocca o per toccare quelle manine che per via di un tribunale e di una malattia sarebbero rimaste solo un ricordo, sempre più fioco. Un giudice ha stabilito che Charlie non deve soffrire, e per questo deve morire. Sembrerebbe un ossimoro, se non fosse realtà.
Ovunque ci bombardano di buonismo, finanziano con soldi pubblici associazioni che divulgano i diritti umani e civili di minoranze etniche, religiose, gay e migranti. Ci parlano di rispetto degli animali e delle piante che non devono soffrire. Poi gli stessi benpensanti scelgono la morte come via alternativa e migliore alla vita. La carità cristiana, per fortuna, ha mosso le coscienze e sia dagli Stati Uniti sia dall’Ospedale Bambino Gesù di Roma ci si è attivati per donare al piccolo Charlie e ai suoi genitori un momento di speranza, di fede, di amore che venisse dal cuore e non dai codici giuridici.
Non sappiamo come finirà, certamente ora si è aperta una nuova speranza ma non smetteremo di pregare per una famiglia che malgrado tutto sceglie di provare la strada, tortuosa e lunga, che porta alla vita; piuttosto di quella più semplice che conduce altrove. Credere è un dono non per tutti. Di certo non lo è per i vigliacchi che hanno insozzato con immagini blasfeme e spregevoli le bacheche pubblicitarie di alcune fermate del trasporto pubblico romano. Una volta si diceva che l’arte dovesse turbare, suscitare sbalordimento e sconcertare per educare a se stessa e a nuovi punti di vista, per emancipare. In questa occasione evidentemente non si trattava d’arte, ma di becera, ignobile provocazione ai danni della nostra religione, dei suoi simboli. Arrivando addirittura all’esaltazione della pedofilia, che è la morte della civiltà e del diritto civile e umano. Quel diritto che tutti dovrebbero impegnarsi a tutelare, indignandosi davanti a ogni tentativo di violarlo, preferendo la vita alla morte del corpo e dell’anima.
(*) Consigliere regionale del Lazio e membro dell’Assemblea Nazionale di Fratelli d’Italia
Aggiornato il 05 luglio 2017 alle ore 22:05