mercoledì 5 luglio 2017
Edicole addio per l’Unità, il giornale al quale il pensatore marxista Antonio Gramsci nel febbraio del 1924 propose di aggiungere come sottotitolo “quotidiano degli operai e dei contadini”.
È passata un’eternità dalla distribuzione domenicale di un milione di copie da parte dei volontari del Pci casa per casa alle brutte vicende che lo hanno portato all’attuale chiusura definitiva, dopo la crisi faticosamente superata nel 2014, quando al vertice del partito e a Palazzo Chigi era salito il giovane sindaco di Firenze Matteo Renzi. Sabato alla manifestazione della sinistra di Giuliano Pisapia a piazza Santi Apostoli i lavoratori del giornale hanno innalzato uno striscione che riassumeva tutta la loro delusione e amarezza: “Antonio Gramsci la iniziò e Matteo Renzi la finì”.
L’Unità, tradita, conclude una storia editoriale fatta di errori dell’editore-partito che negli ultimi anni ha percorso strade contorte, cedendo infine l’80 per cento del pacchetto azionario ad una società privata, la Piesse, trattenendo il 20 per cento delle azioni. Gli scontri e le incomprensioni tra maggioranza e minoranza sono andati avanti per mesi fino a decretarne la paralisi. L’obiettivo era quello di restare un punto di riferimento del Pd che con la segreteria Renzi ha governato l’Italia per 3 anni e raggiunto nelle elezioni europee del 2014 il 40 per cento dei voti.
Per la rinascita era stato chiamato alla direzione il vignettista Sergio Staino il quale ora ricorda che “ci venne chiesto da Renzi di fare un giornale non sdraiato sul Pd ma che favorisse il confronto”.
Con mezzi a disposizione, con molti ex redattori non pagati, con una redazione ridotta all’osso era difficile stare sul mercato considerando che non sono pochi i giornali con orientamenti di sinistra. Il precipitare della situazione, editoriale e finanziaria, si è concretizzato il primo giugno quando un comunicato del Comitato di redazione fece sapere che il “giornale non c’è più”. Lo stampatore che non veniva pagato da mesi aveva fermato le rotative. I giornalisti chiesero formalmente all’amministratore delegato notizie sul regolare ritorno in edicola del giornale ma non ottennero alcuna risposta. Inutili anche gli appelli ai presidenti del Senato e della Camera Pietro Grasso e Laura Boldrini. Silenzio da parte di Palazzo Chigi e del sottosegretario all’editoria Lotti.
E mentre i giornalisti sollecitavano chiarimenti al socio di maggioranza (Piesse) e a quello di minoranza (Eyu che fa riferimento al Partito democratico)è arrivata la beffa: il varo di “Democratica” il nuovo giornale del Pd, on-line che uscirà alle 13,30 con direttore Andrea Romano che era il condirettore di Staino. “Hanno fatto tutto di nascosto, osserva il vignettista, mentre chiedevo incontri ai rappresentanti del Pd. Ufficialmente c’è ancora ma in realtà non c’è più. I giornalisti sono fermi in attesa di notizie, non sono pagati da maggio e non si sa se è ancora valido l’accordo sulla cassa integrazione che doveva procedere alla ristrutturazione”.
Caos e amarezza. Una valanga di solidarietà sui social network. La chiusura di un giornale rappresenta sempre una sconfitta per tutti, anche se i giornali di partito hanno attraversato momenti difficili e solo in qualche caso sopravvivono grazie alla pubblicazione on-line.
Per il Pd “Democratica” (chi lo sa poi perché al femminile) si tratta di uno strumento che andrà a completare la “giornata comunicativa” del partito, una specie di appuntamento fisso tra la rassegna stampa del mattino e la terrazza della sera. Dopo due anni di mancata presentazione di un piano industriale l’epilogo dimostra la volontà di non salvare un’impresa editoriale che aveva al suo interno un partito politico che ha ripetuto spesso di voler fare della difesa dei diritti il suo cavallo di battaglia.
“La nostra storia, scriveva il cdr, è stata scritta in un altro modo. Ci sono imprese che possono iniziare con le migliori intenzioni e poi malgrado ogni sforzo scontrarsi con una competizione su un mercato difficile e in forte crisi. Andava preso atto di non avercela fatta ma garantendo sempre, fino all’ultimo momento, il rispetto dei diritti dei propri dipendenti, delle relazioni sindacali e della professionalità di tutti”.
di Sergio Menicucci