
A Sant’Agostino, pare, va il merito dell’insegnamento “trarre il bene dal male”. Il bene che si può, si deve, trarre dal male consta di beni materiali e immateriali. Tra questi ultimi annoveriamo gl’insegnamenti, che sono due volte preziosi: in se stessi, perché arricchiscono la conoscenza; come regola di condotta, perché servono a guidarci nei casi futuri. La diffusione planetaria del coronavirus, tra l’altro un mostruoso ossimoro, costituisce un drammatico male che uccide, danneggia, ammonisce. Tuttavia se ne trarranno di certo miglioramenti della medicina, degli ospedali, della scienza e ammaestramenti nei più disparati settori, dai più semplici ai più complessi.
In campo politico, però, miglioramenti non se ne vedono e ammaestramenti non se ne traggono. I governanti e i rappresentanti non vogliamo qui giudicarli per quello che hanno fatto o non fatto per arginare il contagio e alleviarne le pene, in ogni senso; no, vorremmo invece invitarli a considerare un principio vitale, etico ed economico: per trarre da un male della società un bene per la società la previdenza è indispensabile. Per dirla con la favola, la cicala smette di frinire alla prima rinfrescata mentre la formica ripara al sicuro con provviste.
Il debito pubblico italiano è incamminato verso i duemilacinquecento miliardi (il 31 dicembre era 2.409 miliardi!). L’italica cicala sta lì lì per smettere di frinire. Abbiamo bisogno di molti soldi per fronteggiare l’emergenza economica in cui siamo stati precipitati dal virus. Ma non ne abbiamo. Quindi non resta che prenderli a prestito, cioè aumentare il debito pubblico, nella speranza di restituirli accrescendo il prodotto nazionale.
I giornalisti, per farsi capire dal popolino, qui usano la bella frase “Spendere per ripartire”, mentre i politici, per non farsi capire, usano la brutta espressione “Più flessibilità”. Ai primi è inevitabile ricordare che sono trent’anni che non accade. Spendiamo e non ripartiamo. Ai secondi è doveroso opporre che ribattezzare flessibilità il deficit non conferisce ad esso la “virtus renovatoria”. La formica esorta la cicala a spendere oculatamente denari risparmiati anziché forsennatamente quattrini presi a prestito.
Il motivo fondamentale, ignorato dagli indebitatori professionali, cioè governanti e rappresentanti, per il quale il debito pubblico deve (deve!) restare basso in assoluto e in rapporto al pil, sta nel potersi indebitare ad agio nelle avversità inaspettate. Il basso debito pubblico rappresenta la garanzia previdenziale di un popolo lungimirante. Gl’Italiani individualmente lo sono, lungimiranti. La disgrazia è che collettivamente, ma per colpa propria, non riescono ad esserlo da troppi anni. Per effetto di un virus catalizzatore, adesso il nodo, speriamo non scorsoio, viene al pettine, mentre tutti i partiti insaponano nondimeno la corda.
Aggiornato il 05 marzo 2020 alle ore 15:16