
Per le nazioni esiste un Golgota collettivo, affollato di croci e di crocefissi. E, soprattutto, la corona di spine rappresenta il contrappasso di chi si è economicamente creduto un dio. In altre parole: l’onnipotente Germania oggi si trova in croce. Rischia di andare in recessione e ripiombare nell’incubo weimariano degli anni Venti del Novecento. Certo, siamo ben lungi da lì, obiettivamente, e di certo non porta bene fare i gufi, visto che, tanto per fare un esempio vicinissimo a noi, se la manifattura tedesca va in crisi, quella italiana la segue a stretto giro di posta.
Intanto, prima di esaminare che cosa succede dalle parti di Berlino (la cui casa brucia ma non troppo), sarà bene ribadire la responsabilità storica della sua leadership, dato che proprio l’Era Merkel ci ha incatenati alla Russia di Vladimir Putin e al suo ricatto geostrategico sul gas e sull’energia a buon mercato che, però, dopo la guerra in Ucraina, sta penalizzando un po’ di più la stessa Germania. Per sua colpa, soprattutto, visto che ha sciaguratamente puntato tutte le sue carte su Nord Stream 1 e 2, smantellando le sue centrali nucleari che erano a “zero” emissioni di CO2 e, soprattutto, facendo spallucce quando Putin ha deciso nel 2014 di annettersi la Crimea. Del resto, la fonte principale del benessere economico tedesco pre-Covid poggiava su due fondamentali pilastri a sua disposizione: le forniture energetiche russe a basso costo e lo sterminato mercato cinese, per sfruttarne in pieno la funzione di hub manifatturiero e commerciale globale.
Prima la pandemia da Covid-19, poi la disastrosa guerra in Ucraina hanno dato il colpo di grazia a quell’età dell’oro. La prima ha compromesso le catene di valore dalle quali la Germania aveva tratto enormi profitti negli ultimi venti anni. La seconda invece l’ha costretta ad assumere una posizione nettamente anti-Putin, per fornire armi all’Ucraina, stanziare centinaia di miliardi per la disastrata Bundeswehr e chiudere i due grandi gasdotti che trasportavano in Europa il gas siberiano, generando enormi extraprofitti per la Germania stessa.
Insomma, ma perché all’inizio di questo terzo decennio del XXI secolo la Germania sembra voler ridiventare “il grande malato d’Europa”, come lo fu negli anni Novanta all’epoca della sua costosissima riunificazione? In cima all’elenco (abbastanza lungo) degli attuali guai tedeschi si colloca la forte carenza di personale qualificato che mina la crescita economica, pur a fronte di uno scenario da piena occupazione. A oggi, ben tre quarti delle aziende che operano nei vari settori industriali non riescono a trovare sul mercato interno i lavoratori qualificati di cui hanno bisogno, e le proiezioni dicono che nel 2035 mancheranno qualcosa come 7 milioni di lavoratori! In merito, il governo tedesco sta seriamente pensando, come soluzione nell’immediato, a introdurre una nuova legislazione sull’immigrazione al fine di facilitare gli ingressi per motivi di lavoro. La legge in itinere dovrà rendere meno stringente il riconoscimento dei titoli professionali e di specializzazione rilasciati all’estero, unitamente al varo di una campagna pubblicitaria di charme per attirare lavoratori stranieri qualificati. Questa particolare configurazione penalizzerà ulteriormente Paesi come l’Italia, acuendo il fenomeno della “estrazione di valore”, per cui la Germania fa campagna acquisti di materia grigia pregiata risparmiando sui costi elevati della relativa formazione universitaria e di ricerca.
Parimenti, gli imprenditori chiedono il massimo di semplificazione burocratica nel reclutamento dei lavoratori stranieri, invitando il governo a non insistere sulla pretesa che i lavoratori esteri debbano avere una buona conoscenza del tedesco, dato che un livello “fluently” di inglese è pienamente sufficiente per lavorare con profitto nella stragrande maggioranza delle compagnie industriali. In questo senso, la crisi più acuta la risente la filiera dell’industria automobilistica e meccanica in generale, alla ricerca disperata di ingegneri. La ragione di questa carenza di personale specializzato è dovuta principalmente al pensionamento in massa dei così detti “Baby Boomers”, persone nate, cioè, tra il 1946 e il 1964 durante il periodo dell’esplosione demografica di quegli anni. Il che sta provocando da qualche anno una guerra per la caccia ai talenti, dato che almeno il 40 per cento delle imprese tedesche che operano nel digitale, nel comparto elettrico e nei semiconduttori hanno seri problemi a colmare i propri organici. Situazione identica riguarda l’agroalimentare, dove occorre almeno un anno per trovare personale specializzato, a tutto svantaggio delle regioni rurali. Parimenti in crisi, in parallelo, viaggia il sistema duale (che finora è stato la vera forza del sistema produttivo tedesco) della formazione-apprendistato, sempre più disertato dai giovani in cerca di occupazione. La Germania, tuttavia, risente di altre carenze strutturali che riguardano gli investimenti e l’impossibilità per lo Stato di fare deficit-spending (vietato dalla Costituzione) per finanziare le imprese nazionali.
Anche l’industria tedesca delle costruzioni attraversa una grave crisi, a causa del notevole aumento del costo del denaro, per cui non si costruiscono nuove case e molte altre rimangono da completare. Per di più, nel settore da sempre trainante dell’automotive, l’industria tedesca, partita in grave ritardo, stenta a stare dietro alla Cina che ha oggi un grandissimo vantaggio nella produzione di motori elettrici, il cui sviluppo è stato finanziato con generosi sussidi statali. Eppure, per sua fortuna, la Germania continua ad avvantaggiarsi della sua spina dorsale rappresentata dalla “mittelstand” delle Pmi, imprese cioè altamente innovative, anche a conduzione familiare, che hanno dimostrato nel tempo la loro grande abilità e flessibilità di adattarsi al mercato e a sviluppare nicchie di qualità inimitabile nella manifattura avanzata. Ma servirà alla Germania una nuova politica di riduzione delle tasse per rilanciare i consumi interni in declino, e un’adeguata riforma pensionistica per ridurre il gap occupazionale. Berlino dovrà anche ripensare alle sue politiche energetiche, visto che non riesce a stare al passo con la produzione di fonti rinnovabili, e per fare fronte all’emergenza è stata costretta a ricorrere al carbone e al fracking in Sassonia.
Olaf Scholz, però, farebbe bene a guardare molto più attentamente a questa parte del Mediterraneo, dove esistono grandi giacimenti di gas da sfruttare e da trasportare attraverso l’Italia, tramite le stesse pipeline che da noi facevano arrivare il gas russo. Ma, la coalizione arcobaleno attualmente al governo in Germania non sarà mai in grado di varare le riforme radicali che servirebbero per la ripresa economica tedesca, per cui dovremmo anche in questo caso provvedere a stare a galla da soli, evitando con le giuste alleanze che si ripristini nell’Unione europea e il micidiale Fiscal Compact.
Aggiornato il 21 settembre 2023 alle ore 10:55