
Come era “scritto”, anche il colpo di Stato in Niger ha avuto successo. Nonostante le altisonanti minacce delle “Comunità internazionali” della Francia, degli Stati Uniti e dell’Ecowas – Comunità degli Stati dell’Africa occidentale – i golpisti nigerini hanno avuto la meglio. Spente come era ovvio le minacce di ritorsione e di attacchi militari da parte dell’Ecowas – che come ho già ricordato è composto da almeno 3 Stati frutto di golpe, e altri strutturalmente affini che non avrebbero mai partecipato a un’aggressione militare al Niger, data l’identica visione della conquista del potere – ora Parigi sta negoziando con i nuovi capi di Niamey un graduale e minimamente dignitoso ritiro delle milizie francesi dal Paese saheliano.
Così la Francia, in silenzio e anche mestamente, dopo aver inizialmente rifiutato di conformarsi alle imposizioni della giunta golpista al potere, ha avviato negoziati con i generali nigerini, finalizzati a stabilire le modalità di ritiro di parte dei circa 1600 militari transalpini stanziati nel Paese. Ora il Governo francese, capofila dei delusi occidentali, ha l’obiettivo, tendenzialmente ipocrita, di uscire dal Niger negoziando con i golpisti, senza però riconoscerne ufficialmente l’autorità. Una forma di paradosso diplomatico che evidenzia il rifiuto di uno Stato di fatto, ma che a esso si appella solo per una “questione di immagine”.
Ricordo che dopo il 26 luglio, data del colpo di Stato, la Francia ha sostenuto con i generali al potere la tattica dello “stallo” in attesa di una improbabile contromossa internazionale, o continentale. Dopo cinque settimane di “pantano diplomatico” e strategie totalmente basate sul “rumore”, il 5 settembre il Ministero delle Forze armate francesi ha ammesso di cercare un canale di dialogo con Niamey per stabilire i termini del ritiro, anche se non completo, delle forze di Parigi.
Senza dubbio, la bandiera tricolore transalpina, già ammainata in Mali e Burkina Faso, con la “questione” Niger sugella quel processo che vede un “drappo” issarsi – con gli stessi colori ma posizionati in senso trasversale (quello russo) – sui pennoni più alti di questi Stati.
In realtà, i primi giorni di agosto il Governo nigerino, riconosciuto e osannato anche dal suo popolo, dopo aver rinnegato gli accordi di cooperazione militare che fino a prima del colpo di Stato avevano legato Parigi e Niamey in funzione soprattutto anti-jihadista, aveva intimato alla Francia il ritiro totale entro un mese dal territorio nigerino. Così, alla vigilia della scadenza dell’ultimatum, il 2 settembre, migliaia di manifestanti nigerini favorevoli alla nuova giunta hanno protestato contro la presenza dei soldati francesi nei pressi dei presidi transalpini a Niamey, ma anche in altri distaccamenti stranieri, compresi quelli statunitensi ubicati oltre che nella capitale anche a Ouallam, a nord di Niamey, e a Ayorou, vicino al confine con il Mali.
In pratica, dopo avere deposto il presidente nigerino Mohamed Bazoum, i due eserciti hanno sospeso la cooperazione militare contro i gruppi jihadisti, e congelato l’utilizzo di tutta la logistica, come elicotteri, droni, aerei da caccia e arsenale vario, in attesa di sviluppi. Insomma, uno stop concordato ma che lascia degli strascichi ambigui, anche perché tale situazione è a favore del “virus” del jihadismo che da tale impasse trae nutrimento. Intanto, il primo ministro della giunta golpista, Ali Mahamane Lamine Zeine, ha dichiarato, durante una conferenza stampa, che sono in corso scambi per consentire un rapido ritiro dell’esercito francese. Mentre il ministro delle Forze armate transalpine, Sébastien Lecornu, sta regolando il “traffico” tra le truppe per facilitare la circolazione dei mezzi militari francesi bloccati dopo l’interruzione della cooperazione antiterrorismo.
La ricerca da parte francese di definire gli accordi per uno sgombero dal Niger è il segnale del successo del colpo di Stato. E anche il segno di un graduale processo di riconoscimento internazionale dell’attuale giunta, che si sta strutturando anche con politici presenti nel passato Governo Bazoum. Un’indicazione operativa utile anche per i prossimi golpisti.
Mosca, nel frattempo, sostiene con forza tali realtà nella sua sempre più influente strategia africana, che con la guerra in Ucraina si è arricchita. E che oggi è abilmente utilizzata con la “questione” della “guerra del grano”.
Aggiornato il 08 settembre 2023 alle ore 09:42