
È davvero illuminante una carta planetaria dell’International Crisis Group in cui, a parte il conflitto strisciante India-Pakistan e India-Cina nel Kashmir, ed escludendo la nuova guerra di trincea lungo la faglia dell’Ucraina, quasi tutte le crisi armate si svolgono in Africa, cioè nell’area più ricca di fonti energetiche e strategiche (uranio, idrocarburi, terre rare), e più suscettibile di vecchi e nuovi asservimenti.
Parliamo di una forma di guerra che aggiorna l’esperienza della guerriglia nata con la decolonizzazione, la guerra partigiana, le guerre di liberazione supportate dalle dittature comuniste (Cuba, Vietnam), per arrivare alle micro-armate della jihad (Siria, Afghanistan). Il generale Carlo Jean ha classificato le guerre “asimmetriche” in diversi modi (“Manuale di Studi strategici”, Franco Angeli, 2004).
In Africa i nuovi conflitti includono le ingerenze esterne (Cina e Russia versus Francia), scontri intertribali, jihad. L’Africa è soprattutto il terreno dove si confrontano le due forme di potere planetarie. Da un lato le democrazie (divise in tre aree: America del Nord col Regno Unito, area del Pacifico – il “Quartetto” – ed Europa. Il realismo politico include nella nuova alleanza “occidentale” anche regimi non democratici, come l’Arabia. Dall’altro lato, si aggregano le tirannidi esplicite, in cui coesistono politica, religione (quasi sempre islamica), delirio (il presidente della Corea del Nord Kim Jong-un) e i nuovi teorici del “comunismo della liberazione”, come il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva.
L’ingresso massivo di Cina e Russia in tutto il Sahel e nell’Africa orientale (Sudan e non solo), fa seguito a decenni di disimpegno occidentale (esclusa la Francia). Anche Iran e Arabia hanno investito miliardi in concorrenza tra loro, per islamizzare l’Africa tramite istituti scolastici come le madrasse. Recentemente, però, il supporto diretto arabo-iraniano alle organizzazioni islamiche africane (incluse -sottotraccia- alcune jihadiste) è venuto meno, a causa del riallineamento dei sauditi con l’Occidente e Israele, mentre per l’Iran si tratta della crisi economica e della crescente rivolta laica interna. Ovviamente, la presenza islamica è ancora forte, ma sempre più legata a gruppi locali come Boko Haram nella Nigeria del Nord, dove è anche forte la componente tribale. I rivoltosi in Africa sono ovunque, favoriti dalla estrema permeabilità dei confini.
Infine, l’Africa del Nord ovest è segnata dalla seconda decolonizzazione contro la Francia. Emmanuel Macron sta rischiando un isolamento politico ed economico dall’Africa, il che sarebbe grave anche per l’Italia, perché l’uranio del Sahel è fondamentale per le circa 60 centrali nucleari di Areva ed Edf, da cui arriva energia elettrica per il nostro Paese.
Mentre sale la tensione in tutto il Continente africano, il Medio Oriente diventa meno esplosivo, dopo che le questioni degli idrocarburi e dei confini si sono (un poco) chiarite. Le nuove risorse stanno dal Sinai alla Nigeria e dall’Algeria al Sud Africa. Gli scontri registrati in Israele nei giorni scorsi sono esemplari: questa volta non si tratta della “vecchia” questione tra palestinesi ed ebrei, ma della nuova tematica dell’immigrazione dall’Africa, che se riguarda l’Italia, tocca ora anche Israele, con immigrati da terre dove si dice sia finita l’Arca dell’Alleanza, e dove l’ebraismo ha una sponda storica importante, ad esempio con i falascià – detti anche Beta Israel – una tribù etiope di religione ebraica.
I falascià vivono in patria una condizione difficile, quindi tendono a emigrare verso Israele, anche se l’Etiopia sta sviluppandosi molto. Uno sviluppo con diseguaglianza ma comunque reale: i viaggiatori diretti da Milano al Kenya fanno scalo ad Addis Abeba e qui si ritrovano in un mondo alla rovescia: dall’impresentabile aeroporto della Malpensa (nomen omen) atterrano in un aeroporto moderno e organizzato, che per giunta sarà affiancato da una nuovo mega aeroporto da 5 miliardi che sarà più grande e trafficato di quelli di Dubai e Parigi.
Tornando agli scontri, a Tel Aviv in realtà hanno riguardato due fazioni dei circa 20mila eritrei immigrati illegali, con 170 feriti. Gli eritrei chiedono asilo politico, perché fuggono dal regime funesto del presidente Isaias Afewerki, ma contro di loro vi sono anche i sostenitori di Afewerki. Circa i conflitti in Africa, rimandiamo al sito di International Crisis Group, aggiornato al mese di agosto. A parte i due golpe militari in Niger e Gabon, ecco i primi conflitti elencati: nel Mali sono ripresi gli scontri tra l’esercito e i ribelli jihadisti. Altri scontri con la jihad nel Burkina Faso. Nella capitale Ouagadougou, il 31 agosto scorso, si è recata una delegazione russa per discutere di cooperazione militare.
Il presidente cinese Xi Jinping il 30 luglio scorso si è recato in visita di Stato in Burundi e Mauritania, dove continuano gli scontri tra ribelli e il regime. In Rwanda ci sono scontri tra esercito e i ribelli che si rifugiano in Burundi. In Camerun abbiamo scontri continui con i separatisti, dopo che nel 2017 gli indipendentisti anglofoni delle regioni del Nord-Ovest e Sud-Ovest hanno dichiarato unilateralmente l’indipendenza dell’ex Camerun meridionale, con il nome di Repubblica Federale di Ambazonia. Amnesty denuncia le atrocità commesse in quelle aree dagli indipendentisti e da Boko Haram.
Aggiornato il 06 settembre 2023 alle ore 12:21