mercoledì 5 aprile 2023
Lunedì il gruppo dei mercenari russi Wagner ha comunicato, tramite un video notturno girato a infrarossi, la presa di Bakhmout: da allora il caos intorno a questa città è ancora più complesso. Per la famigerata formazione paramilitare russa composta da oltre cinquantamila mercenari – per la maggioranza ex detenuti, paradossalmente punta di diamante del sistema offensivo di Mosca – questo colpo significa che la città è ora controllata amministrativamente dai russi.
Tuttavia, tale annuncio è stato immediatamente smentito da Kiev che attribuisce alle forze ucraine coraggio e tenacia nel difendere la città. La disinformazione e la confusione intorno a Bakhmout è molta. Ormai questa martoriata città rappresenta un nuovo simbolo della resistenza ucraina. Il padrone dei Wagner, Evgueni Prigojine, ha orgogliosamente assicurato che la sua compagnia ha inanellato l’ennesimo successo militare. Poi ha continuato, sostenendo che da un punto di vista legale la città “è nostra” (affermazione, questa, che detta da un mercenario stride). L’innalzamento della bandiera russa sul tetto del Municipio sarà il suggello della conquista, ha affermato Prigojine: ma per ora pare rimandato.
Eppure, come accennato, Kiev ha elaborato un’osservazione completamente diversa. Infatti, le dichiarazioni ucraine sono che Bakhmout, Avdiivka e Maryinka rimangono al centro degli scontri. E non sono sotto il controllo russo. I Wagner e l’esercito regolare di Mosca continuano le cariche, ma almeno venti di queste azioni sono state respinte dalla coriacea difesa ucraina, così ha asserito un portavoce militare ucraino.
Volodymyr Zelensky, presidente ucraino, e il viceministro della Difesa, Hanna Maljar, affermano che la situazione è ancora molto tesa. E che le perdite tra le fila nemiche sono elevatissime, soprattutto a carico dei Wagner. Bakhmout da mesi è teatro di violenti scontri: prima della guerra contava circa settantamila abitanti. Ora è diventata il simbolo della lotta tra russi e ucraini per il controllo della regione industriale del Donbass. Negli ultimi mesi le truppe russe hanno occupato zone a nord che a sud della città; hanno conquistato la parte orientale e interrotto diverse vie di rifornimento ucraine.
Comunque, non solo la “voce ucraina” nega che Bakhmout sia caduta, ma anche quella dell’esercito russo che, il 3 aprile, nel suo ultimo aggiornamento, non ha indicato alcun progresso sul campo. Così le contraddizioni nelle dichiarazioni proliferano. Prigojine dice che Bakhmout è “sua”, assicurando che solo la parte occidentale della città è ancora in mano agli ucraini, mentre Igor Konashenkov, portavoce del ministero della Difesa russo, ha asserito che non sono stati fatti progressi, evitando proprio di nominare Bakhmout.
A oggi, con le informazioni che spesso rasentano la disinformazione, l’unico fattore chiaro è che lo stallo continua. I Wagner avevano promesso per l’anniversario dell’Operazione speciale – 24 febbraio – la conquista di Bakhmout. Il Cremlino ci contava, la propaganda russa si basa molto sul simbolismo anche temporale, ma la morsa non si è chiusa. Anche altre fonti di informazione affermano che i Wagner, come ogni altro gruppo militare, hanno bisogno di pause per riorganizzarsi. Inoltre, è noto che il “turn over” causa decessi tra le fila dei mercenari è altissimo. Per gli ucraini sul fronte Donbass i nemici principali sono i Wagner; risultano i combattenti meglio addestrati e i più feroci, ma anche quelli che meglio rappresentano il profilo di “carne da cannone”.
Tuttavia, i continui arruolamenti – supportati anche dal metodo “svuota-carceri” di marca russa e bielorussa – in questo corpo paramilitare compensano le pesantissime perdite. E il loro capo Prigojine, nonostante quindici giorni fa avesse minacciato di ritirarsi dal fronte, sia a causa di gravi incomprensioni sulla strategia, sia per eccessive interferenze, continua a fare affari d’oro. Inoltre, cosa farebbe l’esercito russo senza i Wagner? Vista anche la poca efficacia delle forze cecene comandate dal Ramzan Kadyrov, che si era posto a Vladimir Putin come il “Terminator” degli ucraini?
di Fabio Marco Fabbri