
Ho calcolato che negli “spettacoli parlati” delle reti nazionali girano non più di venticinque parlatori professionali. Però non tutti con la stessa frequenza. Esistono quelli che, come i fuoriclasse del calcio giocano ogni partita, stanno dappertutto tutti i giorni, e quelli che, come le riserve, subentrano qui e là quando le “star” non possono o sono già impegnate altrove contemporaneamente.
Mi capita spesso, e penso che succeda anche a voi, di vedere lo stesso campione giocare il primo pomeriggio, in prima serata, a notte fonda. E non parlo dei medici in tempo di Covid, divenuti virali pur senz’essere talvolta virologi davvero, ai quali i famelici intervistatori non lasciano neppure il tempo di cambiare cravatta, o ravvivare la pettinatura alle signore. Quando tante teste scientifiche parlano non è inevitabile la discordanza di opinioni, a meno che gli scienziati non insistano sulle loro differenze per sembrare originali. A me ha fatto tristezza constatare che accademici di vaglia hanno gareggiato a dissentire in modi che ricordano “i medici più famosi” chiamati dalla Fata Turchina al capezzale di Pinocchio: un Corvo, una Civetta, un Grillo parlante. Ve li ricordate? “Il burattino è bell’e morto. Ma se per disgrazia non fosse morto, allora sarebbe indizio sicuro ch’è sempre vivo”, disse il Corvo. “Mi dispiace di dover contraddire il mio illustre amico e collega: per me, invece, il burattino è sempre vivo; ma se per disgrazia non fosse vivo, allora sarebbe segno che è morto davvero”, osservò la Civetta. Incalzato dalla Fata, il Grillo ruppe il silenzio e sentenziò: “Io dico che il medico prudente, quando non sa quello che dice, la miglior cosa che possa fare è quella di stare zitto”. Per inciso, l’asserzione filosofica è di Carlo Collodi prima di Ludwig Wittgenstein!
Gli “spettacoli parlanti” al tempo del Covid risentono della scienza parlata. Eccome. I parlatori professionali ne traggono linfa per la loro tuttologia. Alla presunta onniscienza sulla varia umanità hanno potuto aggiungere la branca mancante al loro sapere. Jacques Monod, un premio Nobel per la Medicina, quando gli chiesero cosa fosse un virus, rispose che “un virus è un virus”. Ma i parlatori professionali ne hanno imparato quasi tutto in lezioncine televisive, magari sfogliando con lettura veloce le decine di libri che i “virofili” hanno trovato modo di pubblicare negli intervalli delle trasmissioni.
Quando sono costretto a sintonizzarmi su di uno “spettacolo parlante” per schivare gli spot inzeppati nei miei programmi preferiti, debbo sorbirmi sempre le stesse facce. Anche quando cambiano le facce, non cambiano gli argomenti e men che meno le opinioni. Mi agita un’invettiva che, grazie al nostro giornale libero e liberale, posso finalmente lanciare. I direttori delle reti e i responsabili degli “spettacoli parlanti” ospitano le facce a prescindere oppure gliele propongono (impongono, forse) gli agenti televisivi che le hanno in scuderia per i vari ruoli, da protagonista a comparsa, di spettacoli veri e propri?
Difficile credere all’utilità del confronto di opinioni se gli opinionisti sono gli stessi, a meno che non cambino opinione di ora in ora e di giorno in giorno, nel qual caso sarebbero opinionisti da quattro soldi, da non esibire in televisione, per giunta con la millanteria del “servizio pubblico” (sic!). Ancor più difficile credere che questo sleale gioco abbia a che fare con la democrazia liberale e con l’onesta e trasparente competizione delle idee che ne è l’imprescindibile presupposto. Che almeno ci facciano il piacere di risparmiarci la morale sul pluralismo dell’informazione. Con tutte le vantate variazioni sul tono, lo spartito non cambia.
Aggiornato il 17 maggio 2021 alle ore 09:49