
“Il nichilista non crede di dover essere per forza logico”: così Friedrich Nietzsche ebbe ad osservare dal punto privilegiato di osservazione sul nichilismo che ha contraddistinto il suo pensiero, chiarendo che un vero nichilista – se davvero ritiene che nessuna verità sia esistente – può sostanzialmente sostenere tutto e tutto il contrario anche in barba alla logica.
Questo, in fondo, a ben guardare, è il taciuto assioma fondativo dell’intera esistenza della civiltà occidentale contemporanea in cui si predica la tolleranza tacitando le opinioni dissenzienti, si osanna la scienza silenziando i dubbi epistemologici, si pontifica sul rispetto insultando chi ha una opinione differente, si catechizza sui diritti ignorando la natura del diritto, si annuncia la liberazione di tutti tranne di coloro che criticano i mezzi tirannici con cui essa viene attuata.
In questa precisa direzione sembrano muoversi i sostenitori del Ddl Zan che nonostante la loro superiorità morale, civica e intellettuale non si sono accorti delle gigantesche contraddizioni logiche, etiche e giuridiche poste a fondamento del predetto disegno di legge. Sotto il profilo logico: se per un verso, in virtù dell’ideologia genderista che fonda il Ddl Zan, si afferma la relatività di ogni valore, di ogni regola, perfino della stessa natura dell’essere umano, cominciando dalla sua dimensione sessuata, all’un tempo si pretende la rigida tutela del diritto penale per imporre la prospettiva genderista come unica verità assoluta e indiscutibile.
Insomma, si riconferma non soltanto la contraddittorietà intrinseca alla piattaforma logica del relativismo assoluto che struttura il disegno di legge sull’omofobia, ma anche l’assurdità endogena al pensiero dei sostenitori del Ddl Zan che per di più non si rendono conto della propria incoerenza e della loro infedeltà rispetto al principio di non-contraddizione.
Sotto il profilo etico: se l’idea di base è che una unica visione morale, specialmente intorno alla sessualità, non esiste e non sia accettabile, non si comprende come si possa ricorrere allo strumento della legislazione penale proprio per imporre l’idea che non esiste una unica visione morale intorno alla sessualità. Proprio questa scelta normativa, infatti, traduce, con tutta evidenza, una unicità morale che si intende imporre, praticamente affermando ciò che si vuole negare e negando ciò che si intende affermare.
Un paradosso endemico al sistema di pensiero cui fanno riferimento i sostenitori del Ddl Zan in sostanziale opposizione con se stessi, i quali o non si accorgono di tali stridenti contraddizioni in buona fede, il che li renderebbe meno lucidi di ciò che tutti ci si augura che siano, o, peggio, le ignorano in mala fede, il che li renderebbe meno furbi di quanto loro si auto-percepiscono.
Sotto il profilo giuridico: nel corso del tempo si è transitati da una penalizzazione di ciò che non era eterosessuale, alla sua legalizzazione, fino alla penalizzazione di ciò che è eterosessuale. Insomma, se le minoranze Lgbt hanno sempre (giustamente) lamentato la punizione penalistica dei loro comportamenti sessuali privati e dei loro pensieri, sono adesso proprio loro ad invocare il ricorso alla legislazione penale per punire i pensieri di quanti ritengono che l’eterosessualità e la famiglia naturale siano normativamente fondate e giuridicamente fondanti a loro volta.
Delle due l’una: o il diritto penale non può invadere certe sfere, limitandosi a fermarsi ai “piedi del letto” e al cosiddetto “foro esterno”, oppure può invadere ogni spazio e allora ogni pretesa punitiva diventa in se stessa legittima per il solo fatto che così sia determinato dalla volontà politica di turno, per cui legittima la pretesa punitiva del Ddl Zan tanto quanto lo era quella di chi in passato ha perseguito penalmente le persone Lgbt. Il diritto penale, però, così facendo diventa mero strumento di controllo e coercizione nelle mani del potere politico, più similmente a ciò che è accaduto negli Stati totalitari rispetto a quanto si richiede che accada in uno Stato di diritto come si presume debba essere l’Italia.
A ciò si aggiunga la non secondaria considerazione secondo la quale se si assume che il diritto penale debba tutelare determinati valori, occorre altresì comprendere perché alcuni valori e non altri, specialmente se, come nel caso del Ddl Zan, si intende ribaltare il quadro di riferimento dei valori giuridici come fino ad oggi determinati anche all’interno del quadro della Carta costituzionale (il cui articolo 29 non a caso sancisce l’esistenza di una “famiglia naturale”), perseguendo chi intendesse rivendicare il diritto di libertà di pensiero e parola reputando, per esempio, la illiceità morale e giuridica del diritto al figlio, della maternità surrogata, o delle adozioni da parte di persone appartenenti alla comunità Lgbt.
Insomma, il diritto penale assiologicamente “fluido” che viene invocato dai sostenitori del Ddl Zan a tutela delle proprie posizioni misteriosamente si capovolge in un diritto penale assiologicamente “rigido” per punire tutti coloro che rivendicano posizioni opposte; il diritto penale della tutela delle minoranze, insomma, si trasforma grottescamente, nel diritto penale di violazione della tutela della maggioranza. Da tutto ciò si comprende come il Ddl Zan si fonda su paradossi e antinomie strutturali che ne inficiano radicalmente la credibilità giuridica, lasciando trasparire piuttosto le opacità ideologiche e ben poco giuridiche che lo connotano.
In conclusione, si possono, dunque, ricordare le pungenti e puntuali osservazioni di chi ha subito le conseguenze nefaste di una simile distorta concezione del diritto penale, quale è stato quello sovietico, cioè il logico Aleksandr Zinov’ev il quale ha giustamente chiosato che “non è detto che una normativa (o legalità) qualsiasi sia indice di una società basata sul diritto”.
Aggiornato il 15 maggio 2021 alle ore 13:08