Ombre rosse

Sette terroristi della galassia Brigatista degli anni Settanta-Ottanta sono stati catturati in Francia dove soggiornavano indisturbati. Altri tre sui quali pende un mandato di cattura si sono resi irreperibili. Era ora che Parigi, dopo decenni di ostinati rifiuti, si decidesse a dare ascolto alle autorità italiane che reclamavano la consegna dei latitanti. In un’Europa che si vorrebbe unita e solidale fa specie che prosperino “paradisi”: per evasori fiscali e per spietati assassini. Gente che, nei famigerati Anni di Piombo, ha inondato il nostro Paese di sangue e di violenza. Già, perché se qualcuno lo avesse dimenticato gli attempati gentiluomini e gentildonne presi l’altra notte nell’operazione denominata “Ombre rosse”, condotta dall’Antiterrorismo della Polizia nazionale francese (Sdat) in collaborazione con il Servizio di cooperazione internazionale della Criminalpol, con l’Antiterrorismo della Polizia italiana e con l’esperto per la sicurezza della Polizia italiana nella capitale francese, non erano e non sono innocenti.

E neppure bravi ragazzi che hanno imboccato la politica dal verso sbagliato. Giorgio Pietrostefani, ex dirigente di Lotta Continua, è stato condannato a 22 anni di reclusione perché riconosciuto colpevole di essere stato uno dei mandanti dell’omicidio del commissario di Polizia, Luigi Calabresi, a Milano il 17 maggio 1972. Di carcere aveva fatto solo 2 anni, poi la fuga oltralpe. Adesso gli toccherà scontare 14 anni, 2 mesi e 11 giorni, per effetto di una riduzione di pena. La “Talpa di Montecitorio”, al secolo Giovanni Alimonti. Ex leader delle Br-Pcc (Brigate rossePartito Comunista combattente). A lui spettano 11 anni, 6 mesi e 9 giorni di reclusione e 4 anni di libertà vigilata per banda armata, associazione con finalità di terrorismo, concorso in violenza privata aggravata, concorso in falso in atti pubblici e altri reati, concorso in violenza privata aggravata, concorso in falso in atti pubblici e altri reati. Alimonti era nel commando di fuoco che il 6 gennaio 1982 ferì il vicedirigente della Digos di Roma, Nicola Simone. Enzo Calvitti deve scontare 18 anni, 7 mesi e 25 giorni e 4 anni di libertà vigilata per i reati di associazione sovversiva, banda armata, associazione con finalità di terrorismo, ricettazione di armi. Roberta Cappelli, membro di spicco insieme all’ex marito Enrico Villimburgo della colonna romana delle Br. L’attende l’ergastolo in quanto giudicata responsabile degli omicidi del generale dei carabinieri Paolo Galvaligi (31 dicembre 1980), dell'agente di polizia Michele Granato (9 novembre 1979), del vicequestore Sebastiano Vinci (19 giugno 1981), del ferimento del segretario della sezione della Democrazia cristiana di San Basilio a Roma Domenico Gallucci (17 maggio 1980) e del vicequestore Nicola Simone. Ergastolo comminato dai giudici anche a Marina Petrella, condannata per concorso nell’omicidio del generale Galvaligi nonché per il sequestro del giudice Giovanni D'Urso (12 dicembre 1980), per l'attentato al vice questore Simone e per il sequestro dell'assessore regionale della Dc Ciro Cirillo (27 aprile 1981 Torre del Greco) in cui persero la vita due degli agenti di scorta al politico. Sergio Tornaghi: ergastolo.

Condannato per partecipazione a banda armata, propaganda e apologia sovversiva, pubblica istigazione, attentato per finalità di terrorismo e di eversione, detenzione e porto illegale di armi e violenza privata, è stato l’omicida del direttore generale della “Marelli” di Sesto San Giovanni, Renato Briano. Narciso Manenti, dei “Nuclei Armati Contropotere Territoriale” resterà in carcere a vita per l’omicidio aggravato dell'appuntato dei carabinieri Giuseppe Gurrieri, assassinato a Bergamo il 13 marzo 1979. Ricordiamoli questi curriculum criminali prima di farci intenerire dall’idea, sbagliatissima, che siano innocui vecchietti, ombre sbiadite dei ragazzi inquieti di un tempo: nei loro crimini non c’è stato niente di nobile né di romantico. Essi deliberatamente infransero il pactum societatis nella prospettiva, illusoria, di sovvertire l’ordine dello Stato e di instaurare al posto della democrazia d’impianto liberale la dispotica dittatura del proletariato.

Hanno ucciso, gambizzato, sequestrato in nome di un credo politico che per primi i proletari, in nome dei quali essi si arrogavano il diritto di agire, non hanno mai riconosciuto come proprio. Per dirla con un gioco di parole: l’abbattimento dello Stato borghese era l’invenzione borghese (Giorgio Bocca) di una borghesia annoiata perché saturata dal benessere, priva di stimoli riformatori, inadeguata di fronte alla crisi di sistema a dare un indirizzo coerente alle trasformazioni della società capitalistica. Troppo comodo è stato finora che la facessero franca dopo aver spezzato vite innocenti e distrutto famiglie.

Devono pagare fino in fondo per i loro crimini. E che paghino, con buona pace di quell’insopportabile casta radical chic che ieri come oggi parla il linguaggio del sinistrese fatto di parole senza idee, di vuoto pneumatico e di certezze immarcescibili (la pennellata di stile è di Stenio Solinas nel suo “L’infinito Sessantotto”); che storce il naso di fronte alla Giustizia che allunga il suo braccio mentre ai tempi del sangue versato e delle P38 si chiamava fuori dalla responsabilità di aver allattato al proprio seno i “cattivi maestri” dei brigatisti. Quel loro ipocrita, farisaico, vile “Né con lo Stato, né con le Brigate Rosse” è rimasto impresso a fuoco nella memoria di chi c’era. E noi c’eravamo.

Ragion per cui i radical-chic in servizio effettivo almeno oggi usino la cortesia di tacere, di non provare ad annegarci nel loro asfissiante mainstream, della storia scritta dai rivoluzionari da salotto convertiti ai piaceri e ai privilegi del potere borghese, perché questo è il giorno di festa di chi non si è tolto di dosso il dolore sparso a piene mani dalle canaglie acciuffate ieri. Ma non facciamoci illusioni: i sette arrestati sono solo la punta dell’iceberg. Sono oltre 200 i criminali che l’Italia reclama dalla Francia che li accoglie. Tutti protetti da quell’assurdo editto politico-ideologico che è stata la “dottrina Mitterand”, dal nome del presidente francese che la espose alla pubblica opinione interna ed estera il primo febbraio 1985. Sostanzialmente, la Francia decideva di non concedere l’estradizione di individui presenti sul suo territorio ma condannati dalla Giustizia dei propri Paesi di provenienza per “atti di natura violenta ma d'ispirazione politica. François Mitterrand fu esplicito nel dichiarare la volontà di proteggere i terroristi.

Riguardo ai criminali italiani fuggiti in Francia, Mitterand così si pronunciò il 21 aprile 1985 davanti ai delegati del 65mo congresso della Lega dei diritti umani (Ldh): “I rifugiati italiani che hanno preso parte in azioni terroristiche prima del 1981 (...) hanno rotto i legami con la macchina infernale a cui hanno partecipato, hanno iniziato una seconda fase della loro vita, si sono integrati nella società francese (...) ho detto al governo italiano che erano al sicuro da qualsiasi sanzione di estradizione.

Cioè, sarebbe bastato rifarsi una nuova vita a casa loro, dei francesi, per essere mondati da tutti i peccati. Benché la “dottrina Mitterand” fosse stata abrogata nel 2002, con il governo di Jean-Pierre Raffarin, di fatto ha continuato a produrre i suoi effetti tossici, tranne che in alcuni rari casi. E lo ha fatto fino a ieri. Ci sono voluti decenni e tanto sangue versato in casa propria per mano del terrorismo islamico perché il presidente Emmanuel Macron si facesse uscire di bocca la verità: “La Francia, essa stessa colpita dal terrorismo, comprende l’assoluta necessità di giustizia per le vittime”.

Dovevano provarlo sulla loro pelle i cugini d’Oltralpe per comprendere quanto avesse fatto male a noi italiani. Probabilmente, i francesi non ci hanno mai capito perché da loro il temuto “Maggio francese”, come scrive Stenio Solinas, si è risolto in una poesia. Da noi invece, l’osannata “fantasia al potere” degli slogan del Sessantotto si è inabissata dentro i plumbei Anni di piombo. La differenza sta nella contabilità dei morti. Eppure, in questa improvvisa gallica epifania di resipiscenza resta qualcosa che stride. Nella nota diffusa dall’Eliseo si legge che: “Il presidente Emmanuel Macron ha voluto risolvere la questione come l'Italia chiede da anni.

Altro che risolto! Ce ne sono ancora da prendere, impacchettare e rispedire in Italia perché paghino il debito che hanno con la giustizia e con gli italiani. Non può finire qui, con un ambiguo beau geste che restituisce il gusto amaro della mossa propagandistica. La Francia il prossimo anno andrà al voto per le presidenziali. I rumors danno Macron in grosse difficoltà davanti all’avanzata a rullo compressore di Marine Le Pen. Non vorremmo che la decisione (sofferta) di consegnare alcuni terroristi all’Italia fosse stata una trovata dell’entourage macroniano per conquistare consensi interni all’elettorato di destra che non ha mai gradito l’idea di una Francia contenitore di scarico e isola franca della criminalità politica del mondo. Se Macron vuole dimostrare sincera amicizia e rispetto per l’Italia deve consegnarceli tutti. Dopo quarant’anni di giustizia negata i bei gesti non bastano più.

Aggiornato il 30 aprile 2021 alle ore 09:17