
Che la scuola sia, di fatto, uno dei territori di caccia preferiti da parte dei politici, in particolare di quelli che hanno responsabilità di governo, è cosa nota. La prova? Non c’è ministro della Pubblica (d)istruzione che resista alla tentazione di formalizzare una propria riforma dell’esame di maturità, anche allo scopo – presumibile – di tramandare ai posteri il proprio nome, in qualità di sapiente riformatore di quella prova. E c’è da credere, perciò, che se Lucia Azzolina non si è cimentata in questo compito sia da rinvenirne la causa (felix causa) nella pandemia, più che in un proprio senso del limite. Tuttavia, riformare aspetti vari della scuola rappresenta un richiamo davvero irresistibile per i nostri legislatori, i quali recentemente hanno partorito la modifica delle modalità di valutazione della scuola primaria. Si tratta di decine di pagine di schemi, riferimenti, analisi con il risultato di dare alla luce un vero spezzatino pedagogico-didattico, tanto improbabile quanto assurdo.
Facciamo un esempio. Le schede per la quarta classe, come del resto tutte le altre, distinguono fra “nuclei tematici” e “obiettivi di apprendimento”, come se davvero si potesse differenziare i primi dai secondi. Infatti, è del tutto ovvio che il nucleo tematico “misure” risulta dalla composizione del confronto e conoscenza fra le misure di lunghezza e larghezza e dalle relazioni fra multipli e sottomultipli. Rimane, invece, abbastanza misterioso ed inquietante il riferimento alla “soluzione di situazioni problematiche”, che altro non vorrebbe dire se non soluzione dei tradizionali problemi, trattandosi qui appunto dell’insegnamento di matematica. Tutte le altre schede sono strutturate in maniera analoga, imponendo ostinatamente agli insegnanti di non accedere alla conoscenza e perciò alla valutazione dei piccoli, a questi, di non riuscire a capire neppure quale sia la valutazione di cui ciascuno è destinatario ed infine, ai genitori, di restare condannati all’incertezza circa il giudizio formulato sul profitto dei figli. Insomma, si tratta di schede di valutazione che sembrano il frutto di una sorta di delirio di un qualche dirigente ministeriale, esperto in burocratese e vittima inconsapevole (o forse consapevole?) dell’ultimo psicologo dell’età evolutiva che, avendo scritto un libro con un qualche illustre pedagogista, lancia dei diktat pseudo-culturali ai quali, ovviamente, il nostro buon dirigente non riesce a resistere.
L’errore di fondo, davvero esiziale per i bambini e per la scuola, è quello di perdersi letteralmente in una marea di dati analiticamente assunti, rinunciando completamente alla sintesi. Intendo dire che la vera conoscenza e la valutazione che ne deriva – sia in ambito scolastico, sia nella esperienza comune – non provengono mai dall’analisi dei dati a disposizione, per quanto numerosi e dettagliati: anzi, a misura che ne cresca il numero e la specificazione, la conoscenza dell’oggetto – in questo caso addirittura un essere umano, quale il bambino è – dilegua inesorabilmente. Conoscenza e valutazione sono, invece, basati sulla sintesi dei dati, cioè sulla capacità, che ovviamente non tutti possiedono, di leggere tutti i dati a disposizione nella loro complessiva unità, la sola che sappia dotarli di un significato univoco e riconoscibile. Per esempio, i pezzi di un motore presi uno per uno non significano nulla, meno che nulla, mentre assemblati insieme costituiscono un meccanismo che fa muovere le auto, definibile appunto come motore. Allo stesso modo, la conoscenza e la valutazione di un essere umano – tanto più se in età scolare – derivano non da uno spezzatino di elementi di valutazione spesso del tutto parziali o addirittura criptici, ma dall’incontro personale dell’insegnante con l’alunno nel segno di una pienezza e di una totalità che milioni di schede di valutazione non saprebbero come assicurare. Non a caso, l’ètimo di insegnante suggerisce che si tratta di colui che lascia un “segno”. E il segno può essere lasciato sulla persona nella sua interezza, non su improbabili elementi che ne compongano la percezione (la capacità di disegnare, quella di ricordare in successione cronologica, quella di riconoscere le sequenze di numeri e via dicendo).
Spiace dirlo, ma siamo probabilmente in presenza di uno dei tanti fallimenti della scuola italiana che ne hanno segnato, nel tempo, il declino. Purtroppo, chi dovrebbe capirlo e provvedere in proposito, rappresenta invece un vero pericolo per la scuola. Forse, ci vorrebbe un miracolo per invertire la tendenza.
Aggiornato il 17 febbraio 2021 alle ore 10:08