venerdì 13 novembre 2020
La parola magica di Giuseppe Conte è stata e continua ad essere un autoinvito a fare un passo avanti, seguito da un analogo incitamento di Nicola Zingaretti, ma dopo aver preso atto che i passi purtroppo in avanti li sta compiendo il virus. E che i passi contiani o sino fermi o sono all’indietro. Si potrebbe ironizzare pesantemente su un simile slogan ma preferendo noi la strada della politica, vale la pena osservare che da quando la parola magica è stata pronunciata, cioè subito dopo il buon riposo estivo contiano, il Covid ha preso la rincorsa anche perché non se ne era andato. Donde l’esortazione ad un passo più veloce, innanzitutto da parte del Governo. Implicitamente, quell’invito segnalava una grande difficoltà dello stesso premier e dei suoi ministri, presi in contropiede da una situazione i cui effetti, ancora una volta, sono stati fatti pesare sui cittadini con la decisione di nuovi divieti che sono, a loro volta, la conferma di ritardi, di mancate previsioni, di colpevoli sottovalutazioni.
In realtà, la vera mancanza, quella che rivela una sostanziale inadeguatezza nella gestione di questa crisi, riguarda la natura di Conte, il suo carattere tergiversatore, la preferenza per una infinita mediazione impostata sul dire e non dire, per cui anche e soprattutto l’ultimo Dpcm con l’Italia divisa a colori funzionali ad un lockdown geografico, qui giallo e là rosso, rivela l’incapacità di voler decidere, di bloccare tutto e subito, imitando – facendosene carico – la scelta drastica della primavera scorsa che aveva funzionato proprio in virtù di una urgenza. La stessa di oggi, ma adesso diluita e sparpagliata senza una visione d’insieme che ha prodotto l’insorgere di bracci di ferro con Regioni, a loro volta, restìe a comprendere fino in fondo la drammaticità della pandemia. Il Governo non poteva non prendere atto di un caos nel quale è stato uno dei protagonisti e di fronte al quale la via maestra non era e non è quella dei passi avanti, per altro piccoli e solo a parole, ma di una assunzione di responsabilità da rendere pubblica in una delle infinite conferenze stampa con un semplice e coraggioso: ho, abbiamo sbagliato. Il fatto è che, parafrasando l’immortale “I promessi sposi”, a proposito di Don Abbondio, uno il coraggio non se lo può dare, se non ce l’ha.
Governi e ministri sono a loro volta contagiati dallo stile contiano se è vero come è vero che l’autorevole e già infiammatore di piazze Luigi Di Maio ha trovato il tempo, fra un’escursione e l’altra nel globo terraqueo, di occuparsi, ma solo e rigorosamente in tv, della gravità del virus nella “sua” Napoli, nell’ospedale dove si muore perfino nel bagno rivelando tragicamente, se ce fosse ancora bisogno, il disastro della sanità, purtroppo comune ad altre regioni. Il ministro degli Esteri ha mostrato attenzione e preoccupazione (ci mancherebbe altro) ma col tono distaccato di un osservatore, ha invitato a superare le polemiche, a guardare oltre e, dunque, a compiere i leggendari passi avanti come se la magia dello slogan contiano potesse, con una bacchetta magica, sanare i disastri che vengono bensì da lontano, ma che reclamano interventi e riforme da parte di un Governo che ha sprecato mesi preziosi in autocompiacimenti e promesse, tante promesse, al posto di capaci interventi, di provvedimenti concreti, di azioni coraggiose .Naturalmente il ministro se ne è guardato dall’assumere qualche responsabilità, come uomo di governo, quando sarebbe necessario, anche da parte di Di Maio, la nobiltà di quel “ho sbagliato” così detestato dai giallorossi. Invece, siamo sempre alle promesse a piene mani ma quando i buoi sono scappati dalla stalla. E non a piccoli passi, i buoi.
di Paolo Pillitteri