
Il Tribunale arbitrale internazionale dell’Aja, chiamato a dirimere il conflitto di giurisdizione tra Italia e India nel caso che ha coinvolto i due marò, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, ha preso una decisione salomonica. I giudici dell’Arbitrato danno ragione al nostro Paese sull’incompetenza giurisdizionale di Nuova Delhi a processare i fucilieri di Marina italiani. Latorre e Girone facevano parte del Nucleo di protezione militare presente a bordo della petroliera battente bandiera italiana “Enrica Lexie”. Il Tribunale, relativamente ai fatti accaduti il 15 febbraio 2012, ha stabilito che essi hanno agito in qualità di funzionari dello Stato italiano, impegnati nell’esercizio delle loro funzioni e pertanto non processabili da altro Stato. Quindi, dopo otto anni un giudice terzo ha riconosciuto l’immunità funzionale ai due militari. Latorre e Girone erano stati identificati dall’autorità giudiziaria dello Stato indiano del Kerala quali responsabili della morte di due pescatori nello scontro a fuoco con il peschereccio indiano St. Antony, scambiato dai marò per un’imbarcazione pirata in procinto di abbordare la petroliera italiana.
Tale è la versione fornita dal comandante del peschereccio che è stata fatta propria dall’autorità giudiziaria indiana. All’accusa i nostri militari hanno opposto una granitica dichiarazione d’innocenza. Non furono loro a colpire il peschereccio. E neppure hanno confermato che fosse il St. Antony l’imbarcazione effettivamente incrociata il 15 febbraio 2012 nel tratto di mare di prossimità alle acque territoriali indiane. Ora questo impasse è stato superato: per decisione della Corte arbitrale i due marò non dovranno più andare in India a difendersi in un processo che si sarebbe svolto in assenza di prove visto che quelle più rilevanti ai fini dell’accertamento delle responsabilità sono state prontamente distrutte dai protagonisti indiani della vicenda. Sarà allora la Procura della Repubblica presso il tribunale di Roma a continuare nel procedimento penale aperto fin dal 2012 con l’ipotesi di reato di omicidio volontario. D’altro canto, non era compito del Tribunale dell’Aja pronunciarsi nel merito dell’accusa. Nella sede arbitrale era in discussione la giurisdizione. Tuttavia, a conferma che di là dall’aspetto prettamente giuridico, sulla vicenda gravasse un’ipoteca politico-diplomatica, i giudici hanno ritenuto di non lasciare la controparte indiana a bocca asciutta. Il Tribunale ha accertato una presunta violazione della libertà di navigazione dell’imbarcazione indiana causata dal comportamento dei marò, per cui ha stabilito che l’Italia debba provvedere a “compensare l’India per la perdita di vite umane, i danni fisici, il danno materiale all’imbarcazione e il danno morale sofferto dal comandante e altri membri dell’equipaggio del peschereccio indiano St. Antony”.
La si potrebbe interpretare così: pace e patta, l’Italia si tiene i marò e l’India accetta un risarcimento in denari. Nessun vinto, nessun vincitore. Non è la soluzione più desiderabile ma, come si dice: meglio un cattivo accordo che una causa vinta. Intanto, la politica di casa nostra si gode il risultato. Non può attribuirsi il successo perché sarebbe demagogia di infimo livello prendersi meriti che spettano ad altri. A riguardo, bisogna ammettere che dopo anni di pavidità e tentennamenti la scelta forte dell’allora premier Matteo Renzi di rompere gli indugi e nel 2015 trascinare il Governo indiano dinnanzi al Tribunale arbitrale internazionale dell’Aja, si sia rivelata la più efficace. Ugualmente, Giuseppe Conte e Luigi Di Maio, ministro degli Esteri per caso, non riescono a trattenere la contentezza per lo scampato pericolo. Con i chiari di luna che stanno guastando i sonni degli alleati del Conte bis, ogni giorno sempre più instabile, un decisione arbitrale che avesse assegnato la giurisdizione penale all’India con il conseguente obbligo di riconsegnare i marò al sistema giudiziario indiano sarebbe stato il colpo di grazia per il Governo, già sotto stress per le pressioni dei genitori del povero Giulio Regeni nel pretendere giustizia dall’Egitto per il barbaro assassinio del loro figlio.
Da queste pagine, in passato, abbiamo partecipato convintamente alla battaglia ideale di sostegno ai nostri militari vessati da uno Stato straniero. Abbiamo condiviso le loro buone ragioni contro la pretestuosa ricostruzione dei fatti realizzata dalle autorità locali indiane. Non cambiamo idea e continuiamo a credere che i nostri connazionali, civili e militari, coinvolti nella vicenda abbiano agito con professionalità, equilibrio e senso di responsabilità. Quei due sedicenti pescatori morti non potranno pesare sulla coscienza dei nostri marò anche se, in nome della ragion di Stato, tocca accettare un verdetto che sottintende una qualche generica responsabilità italiana, peraltro mai provata. In queste ore si susseguono messaggi di felicitazioni all’indirizzo di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone ai quali ci uniamo. Tuttavia, nel momento di oggettivo sollievo per i destini individuali dei due militari non possiamo, e non dobbiamo, dimenticare il sacrificio degli altri protagonisti del caso “Enrica Lexie” che hanno vissuto il medesimo calvario umano dei due marò incriminati. Sono gli altri fucilieri di Marina componenti il team anti-pirateria assegnato alla nave italiana nonché gli uomini al comando della petroliera, anch’essi italiani. Hanno tenuto duro mantenendo un comportamento ineccepibile riguardo alla riservatezza loro richiesta dalla particolare delicatezza della controversia. I media hanno ignorato un particolare di non poco conto nello svolgimento dell’arbitrato internazionale. Il Tribunale dell’Aja ha voluto sentire come testimoni il comandante della “Enrica Lexie” e il comandante in seconda. Le ricostruzioni offerte dagli ufficiali interrogati hanno contribuito a dissolvere tutti i dubbi che ancora aleggiavano sulla vicenda.
È anche grazie a loro se la Corte arbitrale ha preso una decisione ampiamente favorevole all’Italia. Bisognerebbe aver provato una volta nella vita cosa significhi andare per mare per comprendere quanta angoscia abbia colpito i protagonisti silenziosi di questo brutto affare. Angoscia che non è stata inferiore o meno dolorosa di quella che ha investito i due marò. Latorre e Girone, almeno, hanno avuto dalla loro il conforto di tanti italiani. Degli altri, di cui il grande pubblico neanche conosce i nomi, sarà un privilegio ricordarne il valore e la qualità umana. Sono il comandante della “Enrica Lexie” Umberto Vitelli, il comandante in seconda Carlo Noviello, napoletani; i fucilieri di Marina: sergente Renato Voglino di Brindisi, sottocapo di 2ª classe Massimo Andronico di Surbo (Le), Sottocapi di 3ª classe Antonio Fontana e Alessandro Conte, rispettivamente di Vico del Gargano (Fg) e di Pulsano (Ta), componenti con Latorre e Girone il Nucleo di Protezione Militare (Nmp) assegnato alla “Enrica Lexie”. Si tratta di gente di mare non adusa a stucchevoli salamelecchi. A costoro l’unico augurio che si possa fare non può che riportarsi alle loro storie di vita intessute di onde e di burrasche. Di attese infinite trascorse alla fonda e di venti sferzanti. Di solitudini notturne e di bagliori aurorali. A tutti loro, ovunque siano in questo momento, Buon Vento!
Aggiornato il 03 luglio 2020 alle ore 11:16