Sulla scena una Confindustria di lotta e di governo

È abbastanza inconsueto che Confindustria assuma ruoli e alzi la voce al di là e al di fuori delle occasioni tradizionali. Ma l’intervento e ancor prima le dichiarazioni di Carlo Bonomi (e del suo predecessore) in occasione della dieci giorni di Villa Pamphili hanno suscitato interesse, critiche e attenzioni insolite. E che si parli addirittura della prossima fondazione del “Partito dell’impresa” la dice lunga a proposito della grave crisi economica che ha investito il Paese. Un nuovo partito con le caratteristiche “politiche” di un Bonomi di lotta e di governo. In realtà quel partito c’è già e parla. Parla soprattutto al Governo – meglio, contro – e nel pretesto bonomiano di una doverosa ma burocraticamente prorogata restituzione, si colgono le critiche all’immobilismo di una maggioranza condizionata dai freni ideologici anti-industria del Movimento 5 Stelle e dallo stesso Giuseppe Conte, tanto maestro nell’eloquio da avvocato di provincia quanto esperto nell’arte del rinvio, in special modo in riferimento a quello che non pochi definiscono l’asse portante del Paese, l’impresa, l’industria, così come gli investimenti e il lavoro.

Non a caso, qualche tempo fa, sempre da quel mondo, proveniva l’avvertimento che il lavoro non si crea né per decreto né per statuto. Il lavoro lo crea il mercato, e in un mondo “piatto” come ci mostra la diffusione pandemica del virus, il mercato, ovvero l’economia, è fatto di competizione globale. Il punto è che in Italia gli ostacoli a questa competizione sono da tempo ravvisabili in una burocrazia medioevale e asfissiante peggiorata da una pressione fiscale rispetto cui hanno un suono stucchevole le immancabili promesse governative di riforme e di equità.

Nel contesto della nostra economia, industria grande e piccola, lavoro, creatività e made in Italy hanno fatto grande questo Paese in un’Europa indispensabile nella quale primeggiamo con le nostre eccellenze in settori importanti, ma la crisi del Covid-19 con ritardi e con insufficienti rimedi, rischia di annullare tali primati, mentre gli altri Paesi hanno imposto interventi tempestivi e decisivi.

Più che i leader mancano, soprattutto in questo Governo, le idee su un futuro da dare al Paese, come suggerisce quotidianamente l’Europa – e un restio Matteo Salvini dovrebbe essere più attento ad ascoltarne la voce e apprezzarne l’azione, come invece sta facendo un lucido Silvio Berlusconi – manca la consapevolezza di un orizzonte di ampio respiro rispetto a parole, promesse, rinvii supportati da sussidi a pioggia che declassano la politica in un assistenzialismo alla Lauro, favorevole forse a qualche consenso elettorale ma negatore e ostacolo di qualsiasi slancio, di qualsiasi opzione modernizzante, di qualsiasi tentativo di uscire dalla palude.

L’esigenza più avvertita è quella di un cambio di passo, ma c’è la ferma opposizione sia di un Partito Democratico abbarbicato al potere, sia (e soprattutto) di quel M5S che sbandierava cambiamenti e rivoluzioni radicali ma che è finito, ben presto, nelle pratiche lottizzatorie in nome e per conto di un giustizialismo populista e reazionario, col controcanto del solito fasciocomunistaDibba”.

Intanto si avvicina un autunno che si preannuncia bollente.

Aggiornato il 19 giugno 2020 alle ore 17:35