M5s: soldi dal Venezuela e gioco delle tre tavolette

La telefonata (finta) di Beppe Grillo a Nicolás Maduro (Venezuela) serviva nel 2018 a smontare con una grottesca ironia, assai poco comica, le diverse accuse di “venezuelismo” contro un Movimento 5 Stelle del quale, tuttavia, si conoscevano gli ottimi rapporti con la dittatura venezuelana (Chávez, Maduro and Co.) che ha letteralmente distrutto quel Paese.

Non si vuole qui prendere per oro colato le accuse di Abc di una valigia di soldi da Caracas a Gianroberto Casaleggio, ma il sospetto di qualcosa di più di un legame diplomatico fra Venezuela e M5S è, se non una certezza, un indizio.

Il grillismo ha sempre giocato doppio, ha spesso e volentieri bluffato a fronte delle critiche alla sua diversità di scelte e di giudizi, passando dal no di principio al sì per senso di responsabilità; basterà attendere qualche giorno per avere l’ennesima conferma di ciò con il Mes e già da ora se ne vedono contorni più sfumati, negazioni meno convinte. È una sorta di metamorfosi, questa, dalla negazione all’affermazione, spacciata come una riflessione necessaria, come un contributo al rafforzamento di una maggioranza nella quale, a sua volta, il premier Giuseppe Conte si barcamena fra il sì, il no e il forse.

Ma resta pur sempre difficile spiegare come i giudizi pentastellati su Maduro e Chávez fossero positivi al di là di ogni ragionevole dubbio se pensiamo che qualche tempo fa dal M5S venivano rivolti vivi e convinti apprezzamenti a un “Chávez che ha sconfitto l’analfabetismo”, omettendone la dittatura (per di più distruttrice di una economia).

È su questa studiata indifferenza per i principi di democrazia che il M5S ha fondato un’azione di sfondamento contro partiti e politici ricoprendoli, in Italia, di ogni nefandezza nell’occupazione e gestione del potere salvo, poi, utilizzare i (troppi) voti ai loro no per accedere a quel potere con la maschera dell’onestà e dell’etica ma senza un minimo di preparazione e di esperienza nell’esplicarlo a parte, beninteso, la fermezza nel populismo giustizialista; il vero, unico orizzonte programmatico dell’antipolitica pentastellata.

È il cosiddetto gioco delle tre tavolette che ha spalancato loro le porte del governo combinando lo sbandieramento di una purezza identitaria, di una radicale diversità etica con la faccia tosta tipica di coloro che confondono volutamente il danno con la cura passando tranquillamente dai manifesti del no al loro contrario. E l’eccellenza (si fa per dire) in tali giravolte è di un Luigi Di Maio strenuo avversario, qualche tempo fa, proprio di quella Europa che oggi è diventata per il ministro degli Esteri oggetto quasi di culto.

Ma se dalla bandiera si toglie l’insegna dell’onestà-tà-tà per via delle notizie di consistenti fondi neri da Caracas, resta poco o nulla di un M5S con le smentite più ferme e le minacce di querele richiedendo per sé quel principio di innocenza e quelle garanzie di cui facevano e fanno strame se invocato dagli altri, criminalizzandoli in nome del sospetto come anticamera della verità. Sotto a chi tocca, si diceva nei film dell’immortale Alberto Sordi.

Aggiornato il 17 giugno 2020 alle ore 17:30