A proposito della presunzione di innocenza

Poiché, almeno nelle intenzioni, sono coerente, dico che dobbiamo riconoscere a Luca Palamara quella presunzione di innocenza che lui in buona compagnia ha negato a Matteo Salvini e, lo vedremo, a chissà chi altro. Prima di affermare che ha commesso dei reati, attendiamo i tre gradi di giudizio. Questo non significa, però, che non dobbiamo tenere conto delle cose che ha detto e di ciò che è emerso dalle indagini. Dobbiamo eccome, anzi: non possiamo non prendere atto di quelle parole, non fosse altro che per evitare che, in futuro, qualche altro buontempone sia tentato di pronunciarle ancora. I problemi si affrontano con realismo. Siamo consapevoli del fatto che non si può impedire alle persone di pensare quello che vogliono. Dunque, la guerra contro il pregiudizio delle idee è persa in partenza, essendo evidente che i pensieri delle persone – di tutte le persone – diventano conoscibili soltanto quando si traducono in parole.

Possiamo, tuttavia, creare condizioni che rendano inutile, e magari sconveniente, usare la funzione giudiziaria come se fosse un veicolo per la conquista del potere. Pensandoci bene, io credo che a Palamara di Salvini, della sua innocenza e della sua colpevolezza, interessasse ben poco; gli interessava molto, invece, quello che avrebbe potuto ottenere attraverso una battaglia politica contro Salvini: considerazione presso i colleghi e parte dell’opinione pubblica, ribalta mediatica, notorietà. Moneta da spendere, insomma, per accrescere il suo potere, conquistare posti direttivi per gli amici e condizionare la vita politica del Paese. Se vogliamo davvero che non accada più, dobbiamo spingere i magistrati fuori dal recinto della politica, usare il principio di indipendenza girando la medaglia e ricordando loro che quel principio comporta degli obblighi, primo fra tutti quello di non interferenza nella vita della nazione.

Negli ultimi 60 anni – da quando vennero teorizzate le idee che Palamara ed altri hanno messo in pratica – nessuno (o pochissimi) ha avuto il coraggio di alzare un solo dito in difesa della indipendenza della politica dalla magistratura. Tutti, nessuno escluso, hanno creduto di conquistarsi un salvacondotto assegnando ruoli extragiudiziari ai magistrati, confidando nella loro benevolenza in caso di necessità, ovvero – ovvero! – nel loro sostegno contro il nemico politico. Poveri illusi. I presunti strumenti si sono rivelati più furbi di coloro che pensavano di poterli usare. Compresa la situazione, si sono conquistati uno spazio politico che, oggi, li rende indispensabili a chiunque voglia governare. Chiedete a Silvio Berlusconi come si può resistere al governo sotto il fuoco incrociato delle procure. Non ne verremo fuori. Questa è la verità. La politica, questa politica, non ha né la forza, né la capacità di sottrarsi all’abbraccio mortale che ci ha portati a questo punto. Non cambierà nulla. Cadrà qualche testa e, poi, tutto tornerà come prima. Li rivedremo tutti nei talk show, dove, con la scusa di parlare del malaffare, ribadiranno il loro ruolo e la loro forza. Oggi, però, possiamo dirlo. È già qualcosa.

Aggiornato il 25 maggio 2020 alle ore 22:03