
È tornata a casa Silvia Romano, nella sua città, tra i suoi cari e i suoi amici. Tutta gente abbandonata per una rischiosa missione in Africa.
Tutta l’Italia era in ansia e tutti hanno, come si dice, fatto il tifo per lei, prigioniera per un anno e mezzo di criminali fanatici e assassini espressione di una subcultura spacciata come religione e usata per terrorismo, rapimenti e riscatti.
In altra sede si vorrebbero lasciare talune polemiche di troppo basso se non infimo livello – persino in risse in Parlamento nel quale si è dimenticata l’antica massima: giammai ti pentirai d’aver taciuto, sempre d’aver parlato! – polemiche sfociate addirittura in minacce contro la stessa Silvia-Aisha, vittima e prigioniera per cento giorni proprio di quei tenebrosi e impuniti terroristi, i veri protagonisti che si stanno giovando, gratuitamente, di ulteriori spot, oltre a quello messo in onda all’arrivo della ragazza con tanto di verde tunica islamica.
Bisogna lasciare che questa ragazza ridiventi completamente padrona di se stessa e torni a gestire autonomamente la sua vita e le sue scelte in un itinerario che si annuncia inevitabilmente complesso.
Almeno due riflessioni, tuttavia, dovrebbe porsi un Luigi Di Maio dopo una terribile storia che, come ha ricordato Arturo Diaconale, ha ovviamente caratteristiche e aspetti riguardanti direttamente la sua funzione, coinvolgendolo in quanto responsabile della politica estera e, quindi, con l’obbligo di una valutazione che ci pare completamente sfuggita al sempre sorridente Di Maio e che dubitiamo fortemente se ne possa fare carico. Una riflessione avente ad oggetto le situazioni e i contesti nei quali i nostri cooperanti privi di esperienza e di specifica preparazione vanno ad operare in modo che ognuno sia posto a conoscenza dei rischi e dei pericoli che corre e correrà.
Proprio alla luce di questa vicenda che, purtroppo, non è stata e non è l’unica, la Farnesina – retta da un ministro del quale non si conoscono esperienza, preparazione e professionalità perché paracadutatovi non certo promosso da un esame ma secondo la rituale lottizzazione – sta perdendo qualsiasi ruolo in Paesi nei quali la nostra presenza è stata per anni attiva, operante, auspicata e rispettata.
Nel Corno d’Africa, e basta pensare alla Somalia – dove svolgeva la sua missione la stessa Chiesa cattolica – Paese storicamente legato all’Italia e nel quale sono state realizzate (e sono tuttora visibili) numerose, indispensabili e importanti opere pubbliche, siamo praticamente scomparsi, e non è del tutto casuale che dopo il nostro default la Somalia sia afflitta da uno spaventoso sottosviluppo e piombata in guerre tribali sfociate in regimi militari dispotici sotto l’ala protettiva dell’Islam.
E ancora più grave, perché più vicina e a noi alleata da secolari legami di amicizia, la questione di una Libia nella quale il dopo Gheddafi insieme col nostro progressivo disinteresse, per di più peggiorato dall’attuale assenza dimaiana, si vede un Paese lacerato, diviso in due, sconvolto da una guerra civile con bombe cadute a poca distanza dalla nostra ambasciata. Una Libia dove, come altrove nel mondo islamico, si va sempre più imponendo il ruolo di dominus della Turchia, il Paese decisivo nella trattativa per il dissequestro di Silvia-Aisha.
La sua vicenda ci parla anche d’altro, dell’abbandono della strada maestra della nostra politica estera in favore della Via della Seta. Per ora.
Aggiornato il 15 maggio 2020 alle ore 09:45