mercoledì 6 maggio 2020
Sembra davvero troppo facile, in vista della ricostruzione o ripresa, una politica di intervento dello Stato per dir così erga omnes.
È facile eppure ripetitiva di un interventismo che il nostro Paese ha conosciuto e sperimentato e, se anche in certe fasi dell’economia se ne è vista la necessità o addirittura l’obbligo, la sua persistenza ha nuociuto ed è stata l’obnubilazione dello stesso liberalismo.
Il fatto è che il Governo Conte non nasconde la continuazione di uno stato di cose in cui la mano pubblica, sull’onda di una crisi tanto inattesa quanto estrema, ha un ruolo di primissimo piano che già le previsioni del mondo imprenditoriale cioè del lavoro, avevano anticipato ma che ora si meritano giudizi e preoccupazioni non immotivate.
È persino ovvio che la mano pubblica sia offerta a chi ha troppo poco e a chi rischia di perdere tutto, d’altra parte ad un sistema in ginocchio tale mano è per alcuni aspetti obbligata. Assistenza sì, ma non assistenzialismo.
Ma quando un Tronchetti Provera, Ad di Pirelli (su La Stampa), conferma il grido d’allarme della stragrande realtà del settore imprenditoriale chiedendo un cambio di passo del governo, è evidente che le decisioni di questa maggioranza non sembrano avere colto il significato stesso di una crisi che potrebbe essere una opportunità se quel cambio significasse soprattutto un vero e proprio cambiamento culturale che abbandoni le pratiche del passato e, al tempo stesso, non approfitti di un’assistenza necessaria con la sua pessima ed abusata variante nell’assistenzialismo, che è tutt’altra cosa per le sue vocazioni alla demagogia funzionale più alla cattura di voti che ai reali interessi del Paese e alla sua non rinviabile modernizzazione.
Non vi è dubbio che anche nel settore della produzione non manca la messa a disposizione da parte del governo di risorse e di impegni, ancorché nella tradizionale vaghezza di un Giuseppe Conte – da qualcuno paragonato ad un Cavour, si parva licet – al quale il virus delle conferenze stampa ha iniettato forti dosi di presenzialismo a discapito delle chiarezza. In questo senso sono del tutto mancati da parte sua impegni concreti, non a margine ma prioritariamente, per una ricostruzione in cui la dignità del lavoro sostituisca antiche abitudini clientelari e, al tempo stesso, metta un freno alle velleità statalizzanti che fanno parte di un continuum gradito a un Movimento 5 Stelle la cui ideologia populista, giustizialista e opportunista è la negazione di qualsiasi istanza di modernizzazione e si pone, oggi, come l’espressione di una non-cultura di stampo reazionario.
di Paolo Pillitteri