Il Mes, tra realtà e crollo delle illusioni

Rivolgiamo un sentito ringraziamento al ministro delle Finanze olandese, Wopke Hoekstra, perché ci ha fornito la prova documentale delle menzogne raccontate dal premier Giuseppe Conte a proposito dei suoi mirabolanti successi conseguiti a Bruxelles nel negoziato per l’apertura senza condizionalità di una linea di credito del Mes (Meccanismo europeo di stabilità). Fin da subito avevamo denunciato che la disponibilità dell’Unione europea a sostenere i Paesi in crisi per la pandemia da Covid-19 fosse la medesima degli strozzini interessati a lucrare sulle disgrazie altrui. Si trattava di opinioni maturate dalla lettura delle carte disponibili. Legittime, verosimili, ma pur sempre opinioni. Ora, però, arriva le lettera indirizzata dal politico olandese al Parlamento nazionale che spazza via ogni dubbio o congettura sulle reali intenzioni dei partner, ipocritamente definiti “fratelli” dell’Italia. Nella missiva viene chiarita la disponibilità condizionale dell’Olanda ad aprire agli Stati richiedenti il portafoglio del Mes. Wopke Hoekstra pone 5 condizioni, disattendendone una i prestiti non potranno essere erogati. Grazie al buon lavoro della corrispondente dell’Huffington Post per gli affari europei, Angela Mauro, se ne conoscono i contenuti.

In primo luogo, i Paesi richiedenti dovranno firmare un memorandum con il quale s’impegnano a vincolare i denari ricevuti esclusivamente alle spese, dirette e indirette, legate all’emergenza sanitaria da Covid-19. Secondo punto. La linea di credito sarà attiva solo fino al perdurare della pandemia. Terzo. L’ammontare del prestito dovrà essere contenuto entro il 2 per cento del Pil del Paese richiedente. Quarto. La linea di credito concessa dovrà essere monitorata mediante “Analisi dei rischi per la stabilità finanziaria, sostenibilità del debito e necessità di finanziamento”. Quinto. Le linee di credito dovranno prevedere tempi di rientro brevi. Benché si tratti della posizione di un solo Paese, l’Olanda, è di tutta evidenza che le fantasie dei nostri governanti su improbabili regali dall’Unione europea in nome di un’inesistente solidarietà sono state clamorosamente smentite. La volontà di alcuni Stati del Nord dell’Europa resta quella di non concedere alcuna condizione di vantaggio agli Stati impegnati nella lotta al dilagare della pandemia.

Quindi, alla malora tutte le sciocchezze dette a proposito di prestiti senza condizionalità. Gli strozzini d’Europa hanno intenzione di stringere il cappio al collo del Sud dell’Unione. Ed è con questa cruda realtà che dovremo fare i conti. D’altro canto, non avevamo alcun dubbio sul fatto che il nostro Paese non potesse ricorrere al tipo di finanziamento collegato al Meccanismo di stabilità per ragioni che abbiamo illustrato a suo tempo e che attengono al grado di affidamento dei titoli di Stato italiani sul mercato finanziario globale. La differenza è che adesso abbiamo la certezza dell’impraticabilità della via del Mes. Preveniamo l’obiezione. Si dirà: quella olandese è solo una proposta e vi sarà da negoziare. Ci sia consentito un giustificato scetticismo. Se il Parlamento olandese impegnerà il Governo a mantenere, in sede europea, la linea tracciata dal suo ministro delle Finanze, ci sarà poco da trattare: o mangi questa minestra o ti butti dalla finestra.

L’Italia, se vorrà uscire dall’abisso in cui è incolpevolmente scivolata, dovrà cominciare a pensare seriamente di farcela con le proprie sole forze. Il che significa chiedere ai nostri concittadini una prova supplementare di fiducia nelle potenzialità del Sistema-Paese, investendo parte del risparmio privato nell’acquisto di titoli del debito pubblico. Male non sarebbe se il Governo si decidesse a porre condizioni di favore per chi acquista titoli di Stato pluriennali. A riguardo, riteniamo la soluzione “Quintino Sella” di detassazione perpetua dei titoli, proposta da Giulio Tremonti, la più efficace. A questo punto, la “linea del Piave” italiana in sede comunitaria dovrà attestarsi sul sostegno alla Banca centrale europea perché prosegua nella politica di acquisto senza limitazioni dei titoli di Stato dei Paesi dell’area euro immessi sul mercato.

Fin quando la Banca centrale europea comprerà il nostro debito non correremo rischi di aggressione da parte della speculazione finanziaria e i rendimenti sui titoli si manterranno ragionevolmente bassi, per cui vi sarà minore aggravio di spesa sui nostri conti pubblici. Resta la delusione per ciò che l’Unione è nella realtà. Per anni ci siamo illusi che potesse nascere, in un continente che da sempre ha stabilizzato i suoi equilibri interni attraverso lo strumento della guerra, un’autentica comunità di destino. Non è stato così. Ed è nostra opinione che non lo sarà in futuro. Benché sia contro ogni logica utilitaristica rispetto a un mondo che va polarizzandosi intorno a grandi concentrazioni statuali, la divisione e il vicendevole istinto sopraffattore dei piccoli Stati europei, appartiene alla natura, se si vuole, al Dna del Vecchio Continente. In proposito, sovviene la favola dello scorpione di Esopo. L’aracnide non rinuncia a pungere mortalmente la rana che lo trasporta da una sponda all’altra del fiume. Alla malcapitata, che nel chiedergli conto del suo gesto gli rammenta che entrambi moriranno, l’onesto scorpione non si nega alla verità e le risponde: perché sono uno scorpione, è la mia natura.

Ugualmente a Bruxelles, si continua imperterriti a sfornare documenti roboanti sulla grandezza del progetto comunitario che si trasformano puntualmente in fumo, chiacchiere, parole al vento perché la natura degli europei sta nel continuare a fare ciò che è stato fatto per millenni dalle pregresse generazioni e che è stampato nel Dna di ogni europeo: combattersi. Magari non più con i cannoni e gli eserciti, come accadeva un tempo, ma con le regole e le regolette che strozzano le economie e il benessere delle singole comunità nazionali. Che poi è un modo altrettanto cruento di annientare i nemici. Si prenda il caso dell’Olanda. Sta realizzando le proprie fortune facendo dumping fiscale ai danni degli altri Stati Ue. Generalmente, il Paese dei tulipani (non è che sappiano produrre molto altro) verrebbe marchiato come paradiso fiscale o Statocanaglia. Invece, i suoi rappresentanti siedono con insopportabile arroganza nel consesso comunitario e osano fare agli altri la lezioncina morale.

E il bello è che disprezzano gli italiani, campioni di generosità. Qualche giorno fa è accaduto un fatto tanto grave quanto illuminante del sentire profondo di un popolo. In un video apparso sui social si scorge la figura del premier olandese Mark Rutte, in visita a un impianto di riciclaggio rifiuti. Il politico viene avvicinato da un operaio che gli grida: “La prego! Non dia soldi agli italiani o agli spagnoli!”. E lui, il premier, che fa? Invece di ammonirlo sull’insensatezza dell’esortazione, gli sorride, annuisce e mostrando il pollice levato in segno di approvazione gli risponde: “Va bene, ne prendo nota”. Questa è l’Europa con cui dovremmo costruire un futuro comune. Ma, in un modo giusto, chi vorrebbe condividere il proprio destino con qualcuno che ti giudica senza averne motivo un parassita e un approfittatore? L’unica libertà assoluta che resta all’uomo della strada, altrimenti sorvegliato, profilato, analizzato e sezionato nei suoi più reconditi pensieri, è quella di sognare. Dateci pure degli immaturi, malati di un antico spirito patriottico oggi fuori moda, ma il nostro sogno è quello di vedere un’Italia, ritta sulla schiena, che va in Europa a testa alta a dire alle sanguisughe nordiche: da oggi la festa è finita.

Aggiornato il 05 maggio 2020 alle ore 11:27