Berlusconi: amare significa non dover mai dire mi dispiace

lunedì 4 maggio 2020


Della Babele delle regole stabilite dal Governo per avviare la ripresa economica e sociale dell’Italia non è che si sia capito granché. Sulla questione del permesso d’uscita per incontrare i congiunti si è detta la qualunque. Nessuno che sappia come comportarsi, ad eccezione di una persona: Silvio Berlusconi. Lui non ha dubbi su chi siano gli “affetti duraturi” a cui fa riferimento il Decreto del Presidente del Consiglio. Sono Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Lo ha ribadito nell’intervista rilasciata all’agenzia di stampa Agi. “La collocazione di Forza Italia è nel centrodestra”, parola del capo.

Berlusconi ha sentito il bisogno di rinnovare i voti di fedeltà agli alleati. Non è stato un ritorno di fiamma, ma una precauzione. Da giorni si rincorrono voci di un imminente smarcamento di Forza Italia dalla storica collocazione alternativa alla sinistra per trasferirsi armi e bagagli nell’area della maggioranza di sostegno al Conte-bis. A fare da gran cerimoniere e chaperon ai nuovi ospiti sarebbe Matteo Renzi, il quale consapevole di aver perso malamente il suo personale appuntamento con la storia, resta nei paraggi del potere a fare “ammuina”. Non è che il resort a Cinque Stelle di Giuseppe Conte sarebbe stato l’approdo definitivo dopo una lunga traversata. Più probabilmente, il piano A, nient’affatto tramontato, resta il coinvolgimento di Forza Italia nella fase della ricostruzione post-pandemica in un nuovo governo largo d’impronta contiana ma senza Giuseppe Conte. Per una parte della dirigenza forzista è una bella tentazione usare il pretesto della responsabilità nazionale per accomodarsi al desco dei padroni del vapore, giusto al momento in cui vi sarà da decidere i destini delle molte risorse finanziarie da liberare per favorire la ripartenza delle attività produttive. La vena democristiana che occupa un posto ingombrante nel grande cuore liberale di Forza Italia, memore dell’indimenticato monito andreottiano secondo cui il potere logora chi non ce l’ha, anela a un ricongiungimento con la stanza dei bottoni.

Allora, se è tutto così facile e conveniente cosa aspetta il vecchio leone di Arcore a mollare quegli strani compagni di viaggio dei sovranisti, che lo irritano e che non capisce, e rispondere alla chiamata, come la monaca di Monza? Semplice, il fatto che non sia fesso. Berlusconi è uomo di mondo, conosce i polli che gli razzolano nel cortile di casa, è consapevole delle loro capacità e delle loro debolezze. Ma Berlusconi è anche quell’uomo d’affari dal gran fiuto che ha fatto fortuna riuscendo a dare con l’edilizia, con le televisioni e perfino con il calcio quello che la gente gli chiedeva.

Ora, il Cavaliere sa benissimo che ciò che desiderano taluni dirigenti forzisti non siano le medesime cose che vogliono gli elettori ancora devoti a lui. Una cosa sopra le altre di certo essi non desiderano: vedersi svenduti alla sinistra. Quando nel 2014 si profilò un’apertura di credito a Matteo Renzi che in quel momento sembrava l’astro incontrastato del firmamento politico italiano, una porzione rilevante dell’elettorato forzista rispose in massa all’offerta politica della Lega. Dopo il Patto del Nazareno sarebbe potuta andare con Matteo Renzi, invece imboccò la direzione opposta. Forte di quella brutta esperienza, perché riprovarci con un personaggio inaffidabile che è l’ombra di ciò che è stato un lustro fa? È questo che si sarà chiesto il vecchio leone prima di consegnare alla stampa il suo messaggio d’amore per i giovani rampolli della nuova destra. Ma non è la sola motivazione che ha spinto Berlusconi a stoppare le voci sul possibile trasloco di Forza Italia nell’area di Governo. A numeri parlamentari dati, nessuna operazione di ristrutturazione della maggioranza può passare senza un coinvolgimento dei grillini. Non di tutti, ovvio. Della galassia misteriosa dei molestatori di scatolette di tonno si sa che tutti hanno da tempo preparato le valigie per imbarcarsi verso nuovi lidi. L’imprevista emergenza pandemica ha fermato le partenze, non soltanto degli italiani ma anche dei parlamentari pentastellati. Bloccato, ma non annullato. Attualmente il quadro politico appare sospeso, nulla però impedisce che una scossa lo rimetta in movimento. Se a fare la prima mossa per rompere lo stallo fosse Forza Italia, si innescherebbe una reazione a catena tra i pentastellati. Alessandro Di Battista, il duro e puro, non attende altro che chiamare a raccolta i suoi fedeli per dare vita a un movimento Cinque Stelle delle origini. Giuseppe Conte non farà il Cincinnato. Come traspare dall’intervista di ieri a “La Stampa” (quella in cui, bontà sua, si dice convinto che “un sistema come il nostro non abbia affatto bisogno di investiture messianiche, né di uomini investiti di pieni poteri), sarebbe pronto a porsi alla testa di un partito della nostalgia democristiana. Poi c’è Luigi Di Maio che ha in mano la maggioranza dell’azionariato grillino. In tale scenario lui che farebbe? Non v’è dubbio che il giovanotto è, antropologicamente parlando, il più democristiano di tutti. Ma non nel senso buono e nobile. Dovendo scegliere un santino da tenere sulla scrivania, tra la foto di Giorgio La Pira e quella di Antonio Gava non v’è dubbio che preferirebbe la seconda alla prima. E non solo perché il mitico “Don Antonio” era suo conterraneo. Ma è proprio questo essere l’astuto politico manovriero da Prima Repubblica che ne rende improbabile la scelta dell’intruppamento nel minestrone che si combinerebbe con la presenza, nella medesima marmitta, di ingredienti del calibro di Laura Boldrini, Dario Franceschini, Matteo Renzi, Mara Carfagna e Renato Brunetta.

Oltre, ben inteso, alla collaudata “compagnia del canotto” del trio pro-migratorio Nicola Fratoianni-Stefania Prestigiacomo-Riccardo Magi. La nuova ditta targata Di Maio potrebbe ritrovare corrispondenza d’amorosi sensi con un vecchio amico, quel tal Matteo Salvini che non fa mistero, in talune circostanze, di rimpiangerne la frequentazione. Berlusconi, che è un’autorità assoluta in materia di relazioni amorose, ha annusato l’aria. Se ora rompesse a destra rischierebbe di perdere mezzo partito, di sicuro perderebbe buona parte dei quadri intermedi forzisti delle regioni del Nord, impegnati a governare localmente con la Lega e Fratelli d’Italia. E perderebbe anche parte dell’elettorato che non gli perdonerebbe il perseverare nell’errore. E tutto per cosa? Per dare uno spazio di potere a qualche suo collaboratore che se fosse vissuto al tempo di Camillo Benso di Cavour avrebbe volentieri prestato servizio da sacrestano di Pio IX. Da queste valutazioni riteniamo sia scaturito quello stentoreo atto di fede nella destra plurale che sarebbe risultato ancor più fragoroso se, a proposito di Matteo Salvini e Giorgia Meloni, il vecchio leone di Arcore avesse tuonato: maledetti, vi amerò!


di Cristofaro Sola