
Lentamente comincia a crescere la consapevolezza che la ripresa non è unicamente un problema di rilancio del lavoro, della produzione, del commercio e dell’economia ma anche e soprattutto una questione di libertà.
La consapevolezza è che un Paese di sessanta milioni di cittadini non può rimanere all’infinito in uno stato di detenzione domiciliare, interrotto da qualche ora d’aria, anch’essa esposta a controlli carichi di minacce di sanzioni. La ripresa, quindi, prima che un problema economico è un problema di libertà, deve quindi essere inevitabilmente segnata dalla riaffermazione e dall’applicazione di quel valore che rappresenta il principio ispiratore della Costituzione repubblicana, che ha visto la luce proprio per ribadire e difendere quella libertà che il popolo italiano aveva faticosamente e drammaticamente recuperato dopo vent’anni di regime autoritario.
Neppure la celebrazione dell’anniversario della Liberazione è riuscita a far comprendere all’attuale governo che la Fase due deve avere per la stragrande maggioranza del popolo italiano lo stesso significato e comportare le stesse conseguenze della liberazione dal fascismo. Si può anche pensare, come fanno alcuni esponenti dello schieramento governativo, che sia stato un errore abituare gli italiani a non considerarsi più servi e sudditi o come erano stati costretti ad essere durante i lunghi secoli di servaggio ai potenti di turno. Ma il sapore della libertà è stato ormai assaporato ed è naturale che dopo un periodo di ritorno ad uno stato di segregazione, seppur domestica, possa tornare il desiderio di una libertà perduta. Un desiderio affiancato da un sentimento sempre più forte, la paura di tornare a vestire i panni dei sudditi a causa del governo meno affidabile e più incapace della stori repubblicana.
Cresce, dunque, la necessità di uscire dalla detenzione domiciliare ma anche di liberarsi dei dilettanti che non hanno la minima idea di come traghettare il Paese fuori dall’emergenza.
Aggiornato il 29 aprile 2020 alle ore 11:13