Conte ci prova con Berlusconi

Giuseppe Conte sente il terreno franargli sotto i piedi. Per come sta gestendo l’emergenza da coronavirus anche i sassi hanno capito che non sarà lui a guidare la transizione verso la piena ripresa. Nessuno si fida di lui: non il Partito Democratico, che lo ha sfruttato fino a quando gli è stato comodo farlo; neanche i Cinque Stelle, che ormai sulle decisioni più significative non toccano più palla. Anche il Quirinale, che fino a un certo punto l’ha difeso e protetto come raramente accaduto in passato con altri capi di governo, è molto deluso in particolare dal metodo comunicativo scelto dallo staff di Palazzo Chigi: provocatorio con le opposizioni ben oltre il consentito.

Pier Ferdinando Casini pronostica a Il Corriere della Sera che il Conte bis avrà vita breve, “un mese, due al massimo”. E se lo dice Casini, che è uno che di arcani del potere ne sa più di chiunque altro, c’è da credergli. Ora si tratta di stabilire quale sarà il pretesto che darà luogo alla svolta governativa. Principali indiziati sono, in sede europea, il via libera italiano all’attivazione del Meccanismo europeo di stabilità (Mes) e, in Italia, l’ulteriore rinvio della decisione di sbloccare la ripresa delle attività economiche. Nel primo caso i sicari più probabili potrebbero essere i grillini, se non tutti una parte consistente di loro che rifiuta per principio l’idea che il Paese possa piegarsi a subire il Mes su imposizione dell’Unione europea. Nel secondo caso il killer, metaforicamente parlando, potrebbe essere Matteo Renzi di cui da tempo sono note le insofferenze verso il premier che lo avrebbe emarginato nei processi decisionali strategici. Stando ai rumors, la lettera di benservito a Conte sarebbe scritta, attende solo di essere recapitata al destinatario. Tuttavia, non bisogna sottovalutare il personaggio. L’avvocato di Volturara Appula, nel foggiano, è uno che ha scalato la piramide sociale con le sue forze. È cinico e opportunista e per difendere ciò che ha conquistato sarebbe pronto a tutto, anche a passare sul cadavere politico del movimento che lo ha letteralmente inventato come personaggio pubblico. Ora, i grillini minacciano di sfiduciarlo se cede sul Mes? Ecco pronta la risposta: una sorprendente apertura a Forza Italia annunciata attraverso l’intervista rilasciata ieri al quotidiano “Il Giornale”, della famiglia Berlusconi. Un triplo salto mortale con avvitamento, l’essere passato da uomo di punta del movimento di Beppe Grillo, che definiva il presidente di Forza Italia uno psiconano, e di Alessandro Di Battista, che ha parificato Silvio Berlusconi al male assoluto, all’odierno riconoscimento: “Ho apprezzato l'atteggiamento costruttivo e responsabile di Forza Italia, tanto nell'emergenza coronavirus quanto nei rapporti con l'Europa” e, per soprammercato, al direttore Alessandro Sallusti: “Devo riconoscere che il vostro giornale – e soprattutto il suo direttore Alessandro Sallusti – sta dimostrando di saper distinguere quello che è un atteggiamento legittimamente critico da quello che è invece un approccio aprioristicamente prevenuto nei confronti delle misure del governo...”.

La decrittazione più ovvia del messaggio subliminale contenuto nell’intervista è la seguente: cari ragazzotti pentastellati, se provate a fare brutti scherzi in Parlamento, i voti per far passare la mia linea sul Mes li vado a prendere in casa di Forza Italia. Ma nei complimenti al partito azzurro c’è di più. Si legge la pretesa di scompaginare il campo nemico mettendo zizzania tra gli alleati della destra plurale. Della serie: Berlusconi è bravo e responsabile mentre Matteo Salvini e Giorgia Meloni sono confusi e fanno male al Paese. Si potrebbe definirla una formula da manuale della narrazione mainstream: rovesciare la realtà evidenziando i problemi in casa d’altri e negandoli in quella propria. Magistrale! Ma per sua sventura e nostra salvezza le potrà tentare tutte pur di restare a galla, potrà anche spudoratamente sostenere che “il governo e la maggioranza che lo sostiene sono compatti nel chiedere all'Europa di liberare la sua forza economica come fanno Cina e Stati Uniti, di mettere sul tavolo meccanismi nuovi per una condivisione e una risposta comune all'emergenza economica in atto”, comunque s’incaricherà la dura realtà di fargli il fact-checking sulle bugie spacciate per verità agli italiani.

La condizione del Paese è tale che le tattiche dilatorie, grazie alle quali il premier è riuscito finora a scansare i fossi in cui sarebbe potuto precipitare, si sono esaurite. Non di nuove promesse, ma di fatti concreti ha bisogno l’Italia. E delle due l’una: si concretizzano le tante misure annunciate, oppure no. Nel secondo caso gli italiani non se ne staranno buoni davanti al televisore ad attendere che un mago con un colpo di bacchetta magica gli risolva la crisi nera nella quale sono precipitati. Cominceranno a spazientirsi. E a ribellarsi. A quel punto anche i tetragoni vertici delle istituzioni repubblicane dovranno intervenire per evitare un’insanabile frattura sociale. E non potrà essere lui, Giuseppe Conte, a risanare la crepa che ha contribuito a ingigantire. Nell’intervista fiume, alla domanda se per la “Fase 2” della ricostruzione non sarebbe stato più indicato un governo di unità nazionale il più ampio e condiviso possibile, il premier furbescamente si è affrettato a dire che il “compito deve spettare alla politica, intesa con la P maiuscola, non può essere affidato a governi tecnici, sul presupposto che le forze politiche non siano disponibili ad assumersi la responsabilità delle scelte, anche molto difficili, che il Paese è chiamato a compiere”, stabilendo un nesso ingannevole tra la sua caduta e l’arrivo di un governo di tecnici. Che lo abbia detto per calcolo o per scaramanzia poco importa, la sostanza è che non sta scritto da nessuna parte che dopo di lui vi sarà il commissariamento da parte dei “tecnici”. Al contrario, potrebbero sorgere alternative, tutte politiche, che ribaltino il quadro attuale. A riguardo, va tenuto d’occhio il giovane ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, che ha smesso di fare il capo dei Cinque Stelle soltanto sulla carta. Il Movimento è ancora nelle sue mani, di là da qualche presa di distanze di convenienza. A differenza di Conte, Di Maio non ha sparato sull’opposizione sovranista se non per il minimo sindacale richiesto dalla propaganda. Più di una volta si è ritrovato in linea con le posizioni di Salvini.

Conte con l’apertura a Forza Italia non ha compiuto la mossa del cavallo da grande stratega. Al contrario, ha palesato il grado d’irresponsabilità al quale può giungere un individuo pur di salvare se stesso. Se davvero riuscisse a fare breccia nella classe dirigente forzista, che permane in un evidente stato confusionale, potrebbe dare la stura all’astuto Di Maio per un’improvvisa strambata, funzionale a rimescolare le carte degli equilibri tra maggioranza e opposizione. Il giovanotto non ha mai amato l’abbraccio con i “dem”. Dopo la chiusura della prima tornata di nomine ai vertici delle aziende strategiche dello Stato, dove il Partito Democratico ha fatto la parte del leone lasciando quasi a bocca asciutta i grillini, Di Maio potrebbe essere tentato di capovolgere il tavolo acconsentendo all’abbattimento del totem dei Cinque Stelle: la presidenza del Consiglio a Giuseppe Conte.

Perché di una cosa si può essere certi: piuttosto che fare comunella con Forza Italia in un pastrocchio da tutti-insieme-appassionatamente, per Di Maio molto meglio sarebbe tornare a fare patti col diavolo leghista. E magari pure con la versione femminile di Belzebù. Quella Giorgia Meloni che, a dispetto della sua statura fisica, sta crescendo a vista d’occhio nella considerazione degli italiani.

Aggiornato il 20 aprile 2020 alle ore 11:14