Il Mes, Berlusconi e gli altri

La sensazione, e forse qualcosa di più, è che il Mes non sia stato letto, quasi da tutti. E diciamo quasi a ragion veduta.

Quella che si sta svolgendo, sullo sfondo di una crisi gravissima per il Paese, è una vera e propria guerra, nel senso italiano del termine, cioè il degrado di una schermaglia sia nell’opposizione che nella maggioranza in cui i contenuti dell’argomento Mes e della posta in gioco, vengono letti senza capirne il significato e, in tal modo, sistematicamente stravolti e utilizzati pro domo sua da ciascuno, in nome e per conto del più micidiale dei contagi: la demagogia. Che è, come si sa, il vero contenuto “politico” del populismo. Cui non interessa che cosa sia in gioco nel prossimo Eurogruppo nel pacchetto di proposte e di strumenti già molte volte rivisitato e in cui il Mes, o “Fondo Salva-Stati”, è un meccanismo che, una volta accettato, ci attribuirebbe un ricavato ottenuto con un’emissione comunitaria di 36 miliardi di euro.

Di certo v’è che l’unico o quasi che conosca a fondo il Mes è Silvio Berlusconi, e non tanto o non soltanto perché sia stato a suo tempo colui che ha imbastito col suo Governo la struttura preparatoria alla conseguente approvazione, poi attuata dal Governo Monti, ma perché la presenza e permanenza nel Parlamento europeo del Cavaliere gli consente una ulteriore conferma dell’opportunità della sua decisione con la presa d’atto del livello di antieuropeismo, più o meno esplicito, nel Governo e nel Parlamento italiani; un livello che si alza e straripa sull’onda di giustificazioni patriottiche usate come clave trasformando il confronto in un ring di lotta libera.

Intendiamoci, l’opposizione è libera e giustificata di mostrare i pugni, come si dice, e Matteo Salvini non ha mai nascosto la sua spiccata antipatia, per non dire ostilità, contro l’Unione europea, ma il gioco diventa pesante quando all’interno del Governo, a cominciare da un premier che ondeggia fra un no iniziale e un chissà, il suo (per ora) partito – la cui consistenza nel Paese è inversamente proporzionale ai suoi numeri in parlamento – è giornalmente scatenato nell’urlo di un “no” nel quale la tradizionale demagogia si accompagna ad una pseudo-ideologia la cui vocazione si richiama ad un vetero e distruttivo statalismo. Con questo rottame storico ha dunque a che fare la stessa permanenza di Giuseppe Conte a Palazzo Chigi, donde la spasmodica ricerca di una entente cordiale che gli consenta di cavarsela. E non potrà non fare i conti con la reale portata del problema giacché il Mes, sia pure con una particolare attenzione ai dettagli, non è uno dei tanti giocattoli con cui si balocca il ministro degli Affari esteri, ma il dire di no sarebbe, né più né meno, mettersi fuori dall’Europa.

Non è dunque un caso che Silvio Berlusconi abbia fatto della questione Mes una sorta di sine qua non. Che è un’avvertenza per Conte ma, a ben vedere, anche per Salvini.

Come si diceva: quando il gioco si fa duro…

Aggiornato il 17 aprile 2020 alle ore 11:54