
Il Meccanismo europeo di stabilità (Mes) in versione light, per come uscito dalla bozza di accordo fra i ministri delle Finanze europei, ha provocato un agro dibattito fra le forze di governo. Se il Movimento 5 Stelle s’è schierato energicamente contro il suo utilizzo, il Partito Democratico, Italia Viva e una parte della sinistra si sono collocati su posizione opposta.
Perché tanto discutere su una bozza in via di definizione, fino al punto da riaccendere la scalata dello spread e mettere in discussione la tenuta del governo?
Per raccapezzarsi è necessario anzitutto comprendere cosa sono il Mes light e quello per così dire ordinario. È essenziale, prima di commentare, capire qualcosa di questi meccanismi, pena l’imbalsamazione della “ragion critica”. Si permetta, allora, qualche riga in più.
Tecnicamente, il Mes “ordinario” è un organismo di diritto internazionale istituito con un Trattato (Trattato Mes del 2012) dagli “Stati membri dell’Unione la cui moneta è l’euro per salvaguardare la stabilità di tutti i paesi” (articolo 136, comma 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione del 2007). L’Italia partecipa al 18 per cento del suo “capitale”, di oltre 700 miliardi, del quale ne ha versato il 2 per cento, ossia quasi 15 miliardi. I singoli Paesi possono accedere a varie linee di finanziamento (articoli da 14 a 18 del Trattato Mes), ognuna delle quali ha condizioni sue proprie, che possono arrivare, con il programma di sorveglianza rafforzato, fino ad imporre allo Stato richiedente tagli al debito e alla spesa corrente – pensioni, sanità, sussidi, agevolazioni, stipendi – secondo le indicazioni e sotto la vigilanza di un organismo esterno allo Stato stesso, la cosiddetta Troika. La Troika è un triumvirato vero e proprio composto da Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale.
Il principale organo interno al Mes, ossia il Comitato dei Governatori delle Banche centrali, su impulso dell’Unione, può tuttavia stabilire anche linee di prestito diverse e aggiuntive a quelle già codificate nel Trattato (art. 19 del Trattato Mes), e può escludere tutte le condizionalità o proporre condizionalità diverse da quelle, diciamo, standard (art. 7, comma 12, regolamento n. 472 del 2013). Di qui la possibilità di costituire una versione light del Mes, previo accordo politico tra i capi di Stato e di governo.
Il Mes light, quindi, è semplicemente una nuova linea di finanziamento, che possiamo chiamare, per comodità, “linea Covid”. La premessa politica che compare nella bozza di accordo esclude espressamente l’applicazione ad essa di tutte le condizioni standard, anche se nel corpo della bozza stessa compaiono alcuni riferimenti generici al Mes “ordinario”, che richiederanno, se non la loro definitiva espunzione, almeno chiarimenti espliciti.
Ad accordo ripulito, l’Italia potrebbe ricevere, a richiesta, 37 miliardi a tasso zero e senza specifiche condizioni, se non quelle di investirli nel settore sanitario e di restituirli a tempo debito. Certo, l’Italia, al pari degli altri Stati, potrebbe raccoglie una cifra simile anche con propri buoni del tesoro, magari decennali ma, oltre a dover andare sul mercato, dovrebbe pagare interessi ai propri finanziatori per circa 8 miliardi.
Questo, grosso modo, è il Mes e questo è il contenuto dell’accordo in fieri. Proviamo a rispondere, a questo punto, alla domanda iniziale: perché tanto discutere fino a far balenare la crisi di governo? Non credo, francamente, che alle spalle di questo comportamento vi siamo alti e nobili motivi ideologici o previsioni strategiche sul destino dell’Italia. È possibile, purtroppo, che vi sia solo dabbenaggine o insipienza politica, oppure giochi di governo di basso profilo, uniti al fuoco sacro della demagogia populista dei pentastellati, chiusi, come sono, nei loro dogmi.
D’altra parte, se nel testo finale non compariranno condizioni limitative della nostra sovranità, poter ricevere quasi 40 miliardi da un fondo nel quale, volenti o nolenti, ne sono già stati versati 15, è un fatto di per sé positivo. Si consideri che quest’anno avremo la necessità di denaro aggiuntivo per 200 miliardi, che si sommeranno – anche questo dobbiamo averlo bene in mente – ad altri 300 miliardi già previsti e che servono “normalmente”, anno dopo anno, per non andare in default.
I partiti di governo, dunque, anziché litigare, avrebbero dovuto lavorare in Europa per rimuovere ogni ombra dal documento finale e preparare, in Italia, progetti di investimento immediato, subito “cantierabili”.
Lo scontro sul Mes, intendiamoci, è solo un’ombra lunga, che può forse spaventare, come tutte le ombre, ma che non porterà alla crisi di governo. Ciò nonostante, esso conferma la necessità di cambiare registro il prima possibile.
Qui sono in gioco il futuro del Paese e la sua economia, è in discussione perfino il modello di economia che s’intende adottare per i prossimi decenni; sono in gioco la vita di lavoratori, imprenditori, giovani, la tenuta delle famiglie, la coesione sociale; sono in ballo la collocazione internazionale dell’Italia, i rapporti con gli altri Paesi, il futuro dell’Unione europea. Il tornante della storia che stiamo percorrendo richiede una classe dirigente lungimirante e preparata. Uomini e donne che, in Parlamento come al Governo, sappiano concretamente coniugare la “crescita in equità”, come ho scritto in un recente libro (Crescere in equità, edito per i tipi di FrancoAngeli), con un nuovo modello sociale, con un rinnovato sistema fiscale, con la riqualificazione della spesa, la revisione del sistema giuridico e burocratico, con la valorizzazione delle libertà individuali e d’impresa.
Questo vuol dire o vorrebbe dire “ricostruire” il Paese. Seriamente.
Aggiornato il 17 aprile 2020 alle ore 11:47