Sul Mes la barca del Conte bis scuffia

giovedì 16 aprile 2020


Per i soci del Conte bis i nodi vengono al pettine. Movimento Cinque Stelle e Partito Democratico hanno finto di pensarla allo stesso modo sulle ricette economiche per aiutare il Paese a crescere. Ma è stato teatro che ha tenuto banco fino a quando la realtà non si è incaricata di smontarne gli effetti fantasmagorici, mostrando la sua disperante crudezza.

Il nodo che s’incaglia tra i denti del pettine governativo si chiama Mes, Meccanismo europeo di stabilità, meglio noto come Fondo salva-Stati. L’ultima riunione dell’Eurogruppo, segnata dalla sconfitta italiana, si è conclusa con l’intesa di far transitare gli aiuti finanziari agli Stati membri Ue colpiti dalla crisi pandemica principalmente attraverso tre strumenti: il programma Sure, per il finanziamento della Cassa integrazione operativa negli Stati nazionali; la Banca europea d’investimenti (Bei) per sostenere i settori della produzione, in particolare delle Pmi; il Mes, per l’aiuto economico in materia di spese sanitarie connesse all’emergenza coronavirus.

La sconfitta italiana si sostanzierebbe nel non essere riuscita, la nostra delegazione, a convincere i partner europei a introdurre un quarto strumento relativo alla mutualizzazione comunitaria delle garanzie ad un piano di sostegno alla ripresa economica comunitaria da 1.500 miliardi di euro. Il premier Giuseppe Conte assicura che la partita non è chiusa e si dice sicuro di convincere tutti, al prossimo Consiglio dei Capi di Stato e di Governo dell’Ue fissato per il 23 aprile, a pianificare un fondo comunitario per la ricostruzione (Recovery Fund) da finanziare con obbligazioni “sostenute da una garanzia degli Stati membri”. Vedremo chi alla fine la spunterà, se il blocco del Nord, guidato da Germania e Olanda, a dire no o quello del Sud Europa, patrocinato dalla Francia, nel vedere riconosciuto il principio della condivisione del rischio nei casi d’emergenza.

Nell’attesa, è stato deciso che sia il Mes lo strumento immediato per veicolare gli aiuti. L’Eurogruppo ha stabilito che, in via eccezionale, i prestiti connessi all’emergenza sanitaria siano concessi a minori condizionalità, in via temporanea e per importi non superiori al 2 per cento del Pil del Paese richiedente. Per l’Italia sarebbe disponibile un plafond di 36 miliardi di euro al quale attingere. Ma sarebbe una rischiosa partita di giro. Ad oggi il nostro Paese ha versato al Mes una quota di 14 miliardi 331 milioni di euro (fonte: Bankitalia) sulla sottoscrizione di capitale di 125 miliardi 395 milioni 900mila euro. La dotazione al Mes prevista per aprire linee di credito sull’emergenza sanitaria arriverebbe a 410 miliardi di euro, dei quali disponibili in cassa circa 80 miliardi. La differenza verrebbe raccolta sul mercato mediante l’emissione di titoli garantiti dagli Stati partecipanti al Meccanismo. Ciò si traduce in un’esposizione suppletiva dell’Italia. A lume di naso, non sembrerebbe l’affare del secolo per i nostri conti pubblici.

Nel frattempo, si sta consumando lo strappo tra “dem” e grillini. I primi, per bocca del presidente del partito, Nicola Zingaretti, sarebbero pronti a cogliere l’opportunità; i secondi, a stare alle parole dell’ex-capo Luigi Di Maio, sono per un secco rifiuto giudicando lo strumento del Fondo salva-Stati una trappola per l’Italia. Chi ha ragione? La divaricazione si focalizzerebbe sulle diminuite condizionalità prospettate. Il passaggio normativo dovrebbe prevedere la sospensione dell’efficacia dell’articolo 12 (par. 1) del Trattato istitutivo del Mes che recita: “Ove indispensabile per salvaguardare la stabilità finanziaria della zona euro nel suo complesso e dei suoi Stati membri, il Mes può fornire a un proprio membro un sostegno alla stabilità, sulla base di condizioni rigorose commisurate allo strumento di assistenza finanziaria scelto. Tali condizioni possono spaziare da un programma di correzioni macroeconomiche al rispetto costante di condizioni di ammissibilità predefinite”.

In soldoni, l’Unione europea sarebbe pronta a chiudere un occhio sul rigore dei conti e, soprattutto, a non mettere becco nella gestione finanziaria del Paese richiedente, esclusivamente per il verificarsi di un evento straordinario. Nel caso in esame, si contenterebbe di accertare che i denari presi a prestito vengano destinati strettamente alle spese sanitarie. Ma, in cauda venenum. Nel testo dell’accordo raggiunto in sede di Eurogruppo si legge che “la linea di credito sarà disponibile fino alla fine della crisi di Covid-19. Successivamente, gli Stati membri dell'area dell'euro rimarranno impegnati a rafforzare i fondamentali economici e finanziari, coerentemente con i quadri di coordinamento e sorveglianza economica e fiscale dell'Ue...”. Tale precisazione ha allarmato gli scettici sull’utilizzo del Mes. Essi dicono: ci lasciano in pace fino a quando è in circolazione il Coronavirus. Poi, a emergenza rientrata, chi ci assicura che qualcuno da Lussemburgo, dove ha sede il Mes, non venga a bussare alle porte del Governo italiano per notificargli il ripristino delle regole ordinarie sulla concessione di prestiti? Per il nostro Paese sarebbe come mettere la testa nel capestro.

Riguardo all’aspetto puramente tecnico-normativo, non basta esprimere in un Report condiviso la volontà di modificare le regole del Meccanismo di stabilità. Si rende necessaria una modifica dell’articolo 136 (punto 3) del Trattato di funzionamento dell’Ue che recita: “Gli Stati membri la cui moneta è l’euro possono istituire un meccanismo di stabilità da attivare ove indispensabile per salvaguardare la stabilità della zona euro nel suo insieme. La concessione di qualsiasi assistenza finanziaria necessaria nell’ambito del meccanismo sarà soggetta a una rigorosa condizionalità”.

Se non muta il principio statuito ogni annuncio sulle ridotte condizionalità varrà, sotto il profilo giuridico, quanto una chiacchiera scambiata al bar. I “dem” invece la fanno facile. La raccontano come se ricevere soldi dal Mes sia come andare in campagna a riempire un cappello di ciliegie. In verità, non sono i soli a pensarla in tal modo. Anche Matteo Renzi la racconta così: sarebbe da fessi non andare a prendere il danaro che un pazzo getta dalla finestra. Verosimilmente, entrambe le forze di maggioranza hanno interesse a restare in linea con le decisioni prese a Bruxelles, che è poi il loro modo sfacciatamente servile d’intendere il ruolo dell’Italia nel contesto europeo. I grillini non ci stanno, anche perché l’opposizione al Mes è stato uno dei loro cavalli di battaglia. È pur vero che per restare a galla hanno svenduto l’armamentario ideologico originario, ma a tutto c’è un limite. Il problema che il premier Conte ha tra le mani non è se accedere o meno al Fondo salva-Stati nella versione light accordata da Bruxelles, ma quale posizione assumere, a nome del Governo italiano, in seno al prossimo Consiglio europeo. Sarà la linea dura pro-Eurobond chiesta dai Cinque Stelle o prevarrà la filosofia “dem” del prendi i soldi e scappa? La domanda non è peregrina perché Conte sa bene, come lo sa il Pd, che la propaganda sui danari facili del Mes è un fuoco di paglia appiccato allo scopo di distrarre l’attenzione dell’opinione pubblica dalla gravità della situazione finanziaria del Paese. Gli aiuti promessi attraverso lo strumento del Fondo salva-Stati non sono compatibili con la specificità italiana. Non perché lo dica l’opposizione. C’è da scommettere che sarà lo stesso ministero dell’Economia e delle Finanze a volerne fare a meno. Perché? A prescindere dal timore dell’applicazione delle condizionalità che ci porterebbero in casa la famigerata Troika, come accadde sciaguratamente alla Grecia, il problema della non praticabilità dello strumento si risolve a monte.

Ciò che si trascura di evidenziare è il macigno inserito nelle considerazioni in premessa del Trattato istitutivo del Mes. Al paragrafo 13 è previsto che: “I prestiti del Mes fruiranno dello status di creditore privilegiato in modo analogo a quelli del Fmi”. Capirete bene che una condizione del genere l’Italia, che è fortemente esposta sui mercati finanziari con titoli del proprio debito sovrano, non se la può permettere. Sarà la Direzione del Tesoro a frenare il suo ministro. Se l’Italia contraesse debiti gravati di un privilegio a beneficio di un creditore, chi comprerebbe più i nostri Titoli di Stato messi sul mercato? La polemica sul Mes serve a prendere la temperatura ai rapporti tra alleati di Governo. Che poi, se dovesse risultare fuori controllo, non guasterebbe metterli tutti in quarantena. Per il bene del Paese.


di Cristofaro Sola