La scienza può essere dogmatica? Certamente, il dogma scientifico, inteso nella sua accezione più positiva, rappresenta il bisogno della comunità scientifica di trovare una base comune, formata da verità universalmente condivise, su cui costruire mattone su mattone l’edificio della conoscenza. Bisogno poi che riflette, su più larga scala, della società umana, anch’essa perennemente alla ricerca di un centro di gravità permanente e stabile. Ma la vera scienza deve essere sempre disposta a ridiscutere il dogma e, se questo non appare più sostenibile di fronte a nuove evidenze, deve essere pronta ad abbandonarlo e a cercarne uno nuovo. Altrimenti dalla difesa ostinata e inattuale del dogma si finisce col cadere nel dogmatismo e talvolta nella superstizione. Il tratto distintivo del lavoro dello scienziato, infatti, risiede nell’approccio critico, nel rifiuto del principio di autorità non supportato da evidenza fattuale, in quella forma di esaltazione dello scetticismo organizzato che si può riassumere nel detto: in dubio veritas.
Fa un po’ specie una notizia di qualche giorno fa, riguardo ad un’azione legale promossa da un gruppo di ben noti medici e scienziati, denominato “Patto trasversale per la scienza”, contro Vittorio Sgarbi, accusato di diffondere fake news sulla reale pericolosità del virus, e addirittura d’istigazione a delinquere. E a questa denuncia ne è seguita un’altra contro un medico notoriamente no-vax, accusato di propalare tesi complottiste. Certamente è un diritto-dovere di ogni scienziato quello di contrastare posizioni che ritiene contrarie alla verità scientifica e pericolosamente impattanti sulla pubblica opinione, anche se in questa maledetta emergenza abbiamo dovuto constatare, talvolta con qualche sgomento, che una verità scientifica che metta tutti d’accordo non c’è. Ma ricorrere all’arma giudiziaria è sempre sbagliato da parte di uno scienziato, a meno che non debba difendere la propria onorabilità e credibilità personale o denunciare una palese frode scientifica. Questo tipo di azione casomai rientra fra i compiti dei decisori, cioè della classe politica, cui spetta di valutare le azioni da intraprendere sulla base dei pareri espressi dalla comunità scientifica, e quindi eventualmente anche quello di prendere provvedimenti contro chi cerca di ostacolare o invita a disattendere le decisioni prese.
Le battaglie della scienza (quelle fra gli scienziati, ma anche quelle fra scienziati e laici) vanno combattute nelle aule universitarie, nei laboratori, nelle conferenze tecniche, nei comitati di consulenza e di supporto all’azione politica, non certo nell’aula di un tribunale. Altrimenti non possiamo lamentarci noi scienziati se poi qualche magistrato condanna dei geologi perché non hanno avvisato del rischio del terremoto all’Aquila, pur essendo cosa arcinota che i terremoti non si possono prevedere! Decidere quale sia la verità scientifica non spetta ai giudici. Il rischio per una scienza armata di un potere inquisitorio e censorio è quello di diventare una sorta di “pensiero unico”, cioè il dogmatismo, come giustamente paventato da Diego Fusaro in un recente articolo, benché lo stesso, citando Georg Hegel, attribuisca erroneamente alla scienza il carattere della certezza e non quello della verità. Per chi conosce bene il modus operandi scientifico, lo scienziato è continuamente alla ricerca della verità, ma sa in anticipo che anche la verità scientifica è comunque intrisa d’incertezza: in fisica nessun misura di una grandezza, quale l’energia o una variabile dinamica di un sistema, ha senso se non si riporta l’errore di misura, o più precisamente, l’incertezza sul valore della misura fatta, perché il valore vero della grandezza in questione non è dato conoscerlo.
Ma quando passiamo a studiare organismi e sistemi sempre più complicati (e certo un virus e le sue interazioni sono oggetti molto più complicati ed imprevedibili di una reazione fra particelle elementari) ecco che il quadro cambia, e non in meglio: nel settore biomedico le incertezze sui parametri misurati (un esempio banale sono le comuni analisi del sangue) non sono mai riportate, e la validazione di un nuovo farmaco dipende solo da un campionamento statistico, che ci porta a parlare solo di probabilità, e neanche questa facilmente quantificabile. Scoprire delle precise, sistematiche relazioni di causa e di effetto, che possono portare poi a leggi scientifiche di validità universale, richiede spesso molto tempo e non è sempre possibile. Anche sui test del Coronavirus, come sugli altri test medici, c’è un largo margine d’incertezza, che può indurre a valutazioni grossolanamente errate. Questa però è un’altra storia e la vedremo in un prossimo articolo.
(*) Sergio Bartalucci, ricercatore Infn e presidente di Astri
Aggiornato il 14 aprile 2020 alle ore 13:38