I nuovi nemici della libertà

Il governo va avanti a colpi di annunci sul prossimo arrivo di miliardi e miliardi di euro per sostenere il Paese provato da mesi di blocco totale imposto dalla necessità di fare fronte alla pandemia di coronavirus. Nessuno è in grado di prevedere se questi annunci diventeranno effettivamente realtà. Ma il tema fondamentale del momento politico non è la definizione del numero preciso dei miliardi che verranno ottenuti dall’Europa o da qualsiasi altra fonte, ma la scelta dell’indirizzo che verrà dato all’immissione nella società italiana di un flusso così consistente di denaro. Perché non si può fare finta di ignorare che un flusso del genere non è destinato semplicemente a riattivare i settori produttivi paralizzati dalle ragioni imposte  dall’emergenza sanitaria, ma non potrà non incidere in maniera determinante sulla definizione dell’indirizzo di fondo verso cui dovrà essere guidata la cosiddetta ripresa. Questo indirizzo dovrà limitarsi a rimettere in movimento il sistema produttivo precedente o, invece, dovrà porsi come obiettivo di fondo quello di determinare una modificazione di fondo del sistema stesso?

Fino ad ora i partiti dell’opposizione del centrodestra non sembrano molto attenti ad un interrogativo del genere. Tendenzialmente e culturalmente sarebbero portati a sostenere che la ripresa non dovrebbe mettere in discussione il sistema che venne scelto liberamente nel secondo dopoguerra e che portò a realizzare il miracolo economico e quella società del benessere diffuso delle grandi garanzie sociali che hanno portato il nostro Paese ai primi posti tra quelli più avanzati dell’intero pianeta. La loro unica richiesta è che l’esperienza della pandemia porti a migliorare il più possibile il modello del passato ripulendolo di quelle incrostazioni burocratiche che troppo spesso ne hanno messo in mostra i limiti e le carenze.

Ma su questo indirizzo dei partiti d’opposizione, quello che punta alla riproposizione del modello occidentale liberato delle zavorre burocratico-assistenziali, grava però il pericolo che la ripresa venga invece realizzata per smantellare il modello perseguito per più di settant’anni e per realizzare un nuovo modello sociale e di sviluppo non più fondato sulla libertà d’impresa e sul mercato, ma su un intervento massiccio dello Stato che invece garantisca, come ha sostenuto il segretario della Cgil Maurizio Landini, non più profitto ma sicurezza, qualità della vita e del lavoro e giustizia sociale.

Se a spingere per una ripresa diretta a realizzare un sistema anticapitalista o un sistema capitalistico di Stato sull’esempio di quello comunista cinese, fosse soltanto il leader della più forte confederazione sindacale del Paese, bisognerebbe stare comunque in guardia ma senza eccessive preoccupazioni. Landini non fa che ripetere gli antichi slogan della sinistra massimalista adeguandoli alla realtà del momento. E la sua è una zuppa troppo riscaldata per apparire appetibile in un momento delicato come quello attuale.

Ma il problema è che Landini non è il solo a proporre che i soldi della ripresa servano a realizzare un modello senza profitto e senza mercato fondato solo sull’intervento pubblico finanziato da nuove e più invasive forme di tassazione dei cittadini. Con lui c’è anche quella parte della cultura cattolica progressista che dopo aver fallito negli anni Settanta si è risvegliata all’ombra del pontificato terzomondista di Francesco e pensa che questo sia il momento per compiere la massima spinta, attraverso il governo giallo-rosso del “papista Conte”, per dare vita alla società dell’eguaglianza imposta dall’alto e delle libertà individuali ridimensionate e subordinate ad una etica superiore di uno Stato finalmente liberato dall’influenza materialistica occidentale.

I partiti d’opposizione, quindi, sono avvertiti. Il loro compito è pesantissimo. In tutto simile a quello che dovettero compiere Alcide De Gasperi e le forze democratiche e liberali dell’immediato secondo dopoguerra, quello di impedire che il Paese venisse trascinato dai comunisti e dagli utili idioti del cattolicesimo progressista e dell’azionismo intollerante nell’area delle democrazie popolari egemonizzate dall’Unione Sovietica di Stalin.

Il premier cinese Xi Jinping non è uno Stalin redivivo, ma sui Landini fa sempre presa. E forse anche su Francesco, che con lui ha fatto un accordo lasciando nelle peste i cattolici cinesi che resistono al regime!

Aggiornato il 15 aprile 2020 alle ore 11:40