
Non vogliamo essere né pessimisti né catastrofici, ma se il nostro direttore parla di un “Suk” riferendosi all’Europa e agli atteggiamenti del nostro governo nei confronti dell’Unione europea, il segnale politico non può non coniugare il presente con il recente passato. Con relativi inevitabili e verificabili atteggiamenti, scelte, dichiarazioni.
La presente, recentissima minaccia del premier Giuseppe Conte contro i nemici dell’Italia a Bruxelles capitanati dagli olandesi (ma dietro c’è, ovviamente, la Germania), voleva essere un ultimatum preannunciante l’uscita dell’Italia. Il fatto è che in un quadro di discussioni accese, finisce coll’apparire inserito in una partita a poker piuttosto che funzionale ad una successo nella trattativa diplomatica.
Intendiamoci, un governo ha il diritto di difendersi dalle minacce degli stessi amici ed alleati, il problema, tuttavia, sta nella credibilità o meno di questo governo. Ma un governo non è un Paese. Conte non è l’Italia…
Quando infatti si sente dire, anche sui grandi organi di informazione, che Olanda e altri Paesi del Nord Europa sono contro l’Italia, si confondono le carte, quelle vere e che contano, si affermano due realtà completamente diverse e si accomuna una grande nazione come la nostra con un governo piccolo piccolo la cui incapacità nella gestione di una vicenda politica ed economica estremamente importante e per noi vitale, è il frutto di una gestione del Paese che, quella sì, è l’oggetto dei “no” olandesi e tedeschi. I quali non da oggi osservano da vicino la maggioranza di governo e si suoi componenti.
Il linguaggio politico, la narrazione del Conte bis, già dal suo nascere si porta dietro le stimmate di un Movimento 5 Stelle che ha teorizzato non soltanto il mitico “uno uguale a uno”, ma il disprezzo di una politica ritenuta gestita da partiti corrotti e criminali cui la cura più meritevole e liquidatoria del vecchiume non poteva che essere l’avvento al potere del nuovismo, ma non soltanto nelle sempre più visibili preferenze e scelte in nome di uno statalismo miracolistico e tuttofare, ma seguendo la linea indicata dall’alto, dal leader supremo.
Era appunto Beppe Grillo che qualche anno fa, scatenato nelle sue torride esibizioni, pontificante in uno dei suoi tanti sproloqui, per di più a livello europeo, invitava pressantemente la Ue con un “Non date soldi all’Italia perché finiscono alla Mafia!”.
Prendersela colle parole del tedesco “Die Welt”, ora nel solco di quel Grillo, è giusto e sacrosanto, ma le proteste di Luigi Di Maio, ministro degli Affari esteri e capo delegazione grillino, hanno un suono per dir così falso e bugiardo se non accompagnate da una presa di distanza dai proclami del suo leader.
Ma è certo che un simile pentimento non arriverà mai, soprattutto da un ministro che se ne è guardato bene, in questi mesi, dal seguire con partecipazione e attenzione gli sviluppi europei, preso com’era nell’accogliere e decantare, in tivù e sui giornali, i doni della Cina, ringraziandola giorno per giorno, con primi piani sorridenti sulle gratificanti news, del munifico gesto, tanto da giustificare qualcosa di più di un sospetto di preferenze ideologiche indirizzate più verso l’Oriente che l’Occidente. Scambiando l’Ue per un Suk. Un sospetto non estraneo a chi, in Europa, fa del governo Conte con annessi e connessi, un osservato speciale.
Aggiornato il 10 aprile 2020 alle ore 14:05