Mes: i conti non tornano

Le conclusioni della riunione dell’Eurogruppo di domani sembrano già scritte. Non solo perché si possa azzardare una previsione ma in quanto i documenti preparati dai cosiddetti ‘sherpa’ – i negoziatori – vanno nella direzione di un ricorso al Mes pur edulcorato da aggettivazioni volte a tramettere un messaggio distensivo. Sarà un prestito ‘light’, senza condizionalità, senza rischio di commissariamento. Così viene detto in preparazione delle reazioni di domani. Il trattato istitutivo del Mes è da subito apparso di difficile comprensione e nel 2012 l’approvazione della relativa legge di ratifica fu liquidata in pochi giorni con sbrigativi passaggi parlamentari privi di interventi che spiegassero realmente la portata del provvedimento. Le dichiarazioni di voto di tutti i partiti furono poche e limitate all’essenziale, incentrate più su aspetti quali l’immunità giuridica prevista per gli appartenenti al nuovo organismo o ai fondi da esborsare per entrarvi che ai complessi meccanismi definiti ‘di stabilizzazione’ o di controllo del beneficiario del prestito.

Se ne tornò a parlare a novembre dello scorso anno quando ci si accorse che esisteva l’organismo poiché doveva essere riformato con previsioni ancor più complesse e ancor più incomprensibili ma che facevano intendere che veniva preteso un rigore ancora maggiore per accedere al prestito. Quel rigore che in concreto si traduce nell’impegno per il debitore a elaborare riforme nel proprio Paese per rimettere i conti a posto mediante misure non proprio popolari come la flessibilizzazione delle leggi sul lavoro o il taglio alla spesa pubblica, agli stipendi e alle pensioni. O addirittura ipotecare opere d’arte nazionali, come ipotizzato recentemente da noto esponente politico. La proposta emendativa non passò e fu deciso di approfondire e temporeggiare salvo tornarne a parlare in questo periodo come unica panacea possibile allo shock economico del momento.

Ma veniamo ai conti. Il Mes è previsto avere a regime una dotazione di 700 miliardi da finanziare gradualmente dai singoli Stati membri con ripartizione percentuale in base a Pil e importanza economica. La Germania contribuisce per il 27,1 per cento seguita dalla Francia con il 20,3 per cento e dall’Italia con il 17,9 per cento. In assenza di una Banca centrale che funga da prestatore di ultima istanza viene quindi chiamato a sopperire. Ma con quali denari? L’Italia sino ad ora ha versato poco più di 14 miliardi se si escludono i contributi al precedente Fondo salva Stati di cui il Mes ha preso il posto. Calcolando le percentuali degli altri Stati il Mes dovrebbe, pertanto, avere in cassa circa 80 miliardi sulla cui leva ha emesso negli anni sino a 300 miliardi di obbligazioni.

In base ai documenti in circolazione, che si spera sino all’ultimo momento che possano essere variati con una forte pressione del nostro premier e di quello spagnolo, noi potremmo beneficiare di un prestito pari al 2 per cento del Pil, quindi circa 36 miliardi. Briciole per fronteggiare l’emergenza attuale, non si sa a quali condizioni. In poche parole: a regime noi avremo versato 125 miliardi a fondo perduto per riceverne in prestito – sotto condizionalità dal rigore ancora da accertare – forse 36. Non sembra un buon affare, diamo soldi al Mes per farceli prestare con gli interessi e concedendogli il diritto di controllare anche in modo ‘light’ come terremo a posto i conti! A domani per assistere all’ulteriore puntata, mentre la gente, ancora in modo composto, attende le decisioni.

Aggiornato il 06 aprile 2020 alle ore 12:09