Cinque Stelle, ovvero chiacchiere e manette

Ci si chiede, a volte: ma se ci fosse, mettiamo un Matteo Salvini al posto di un personaggio, se del caso ministro della Giustizia pentastellato, quanti alti lai e proteste si leverebbero dalle sinistre, e non solo?

Ci si chiede, altresì, quali e quante critiche avanzerebbe la gauche a proposito di quanto accaduto al sito dell’Inps andato in tilt dopo che il suo presidente, di fede dimaiana, ne aveva elogiato l’indistruttibile tecnologia?

Intendiamoci: può sempre capitare (ma non dovrebbe) che si verifichi un crash col risultato di buttar fuori i dati sensibili di non pochi pensionati, ma che dire di quella specie di scusa del presidente Pasquale Tridico dando la colpa dell’accaduto ad un hackeraggio sapendo, tra l’altro, che qualsiasi esperto degno di questo nome ne avrebbe considerato una rarissima possibilità?

Il fatto è che l’andata dei pentastellati al governo, dipinta da loro come un’autentica rivoluzione da parte del nuovo che avanza contro il vecchio che resiste, si sta rivelando come una regressione non soltanto ai tempi antichi, dei quali si comincia ad avvertire un non so che di nostalgico, ma ad una dilettantismo venato, nel caso del ministro Alfonso Bonafede, di giustizialismo degno, questo sì, dei vecchi e indimenticabili anni del trionfante dipietrismo.

Quanto di grave sta accadendo nella carceri sovraffollate con l’ingresso del virus – temuto e previsto da tanti, a cominciare dal Papa – luoghi di detenzione in cui non si sono ancora spente le proteste, con ben tredici morti, la dice lunga non soltanto sul silenzio del ministro competente, ma soprattutto sulla sua patente incapacità nel gestire un settore di sua competenza. Tanto più evidente sol che si pensi all’annuncio, a parole, di una grande riforma. Ma all’incontrario, come sappiamo.

Alla sostanziale indifferenza per il mondo carcerario col blocco della precedente riforma, si accompagna una serie di atti e decisioni che si iscrivono nell’albo di quel giustizialismo che resta, da sempre, la bussola e il tema fondante di pensiero e azione dei grillini con quell’emblematico “vaffa” gridato su tanti media che si sono rifiutati di scorgervi una demagogia populista utile a catturare non pochi consensi consentendo di accedere al governo ad una compagine di violenti parolai, di finti riformisti, di pericolosi dilettanti allo sbaraglio. Non è infatti una “riforma” all’incontrario l’abolizione della prescrizione in assenza di riforma di un sistema processuale caratterizzato da lunghezze destinate controriformisticamente a rendere senza fine la condizione di imputato?

E che dire dell’introduzione di misure che staremmo per definire di stampo totalitario sulle intercettazioni telefoniche? Manette per tutti, insomma. Con tante chiacchiere.

Qualcuno si è chiesto, e noi concordiamo, che fine abbiano fatto i propositi dell’alleato Pd nei confronti di un Bonafede che si spacciava per rivoluzionario mentre è un reazionario della più bell’acqua, e che ci e li trasporta ai tempi peggiori di una giustizia che ha raso al suolo i partiti e la politica stessa.

Ovviamente, se ci fosse un Salvini al suo posto, le richieste di dimissioni immediate si sarebbero fin da subito avanzate, fra strepiti e invocazioni in Parlamento, sui mass media e nelle piazze. Dimissioni è una parola sconosciuta dalle parti del nuovismo grillino e ne è una prova ulteriore la permanenza al suo posto di quel presidente citato poco sopra. La nave affonda ma la colpa è degli hacker.

Aggiornato il 03 aprile 2020 alle ore 10:59