venerdì 3 aprile 2020
È vero, è tornato un altro virus ma di carattere politico (si fa per dire, di questi tempi) con il conflitto fra Stato e Regioni.
Anche se, a ben vedere, un conflittino s’è intravisto fra Luciana Lamorgese, ministro degli Interni, e il premier Giuseppe Conte in un quadro governativo, peraltro, già di per sé confuso, basti pensare al cervellone Inps andato in tilt senza che il presidente del Consiglio abbia avvertito il bisogno di chiedere scusa a milioni di pensionati, alcuni dei quali “esposti” al pubblico con i lori dati. Lo stesso Conte, tuttavia, non ha avuto nessuna remora a smentire il suo ministro degli Interni che aveva concesso il diritto ai bambini di fare due passi con la mamma. In Italia puoi portare a spasso il cane, ma non il tuo bimbo. Ma tant’è.
Il conflitto, dunque, e a proposito di sanità il cui ministro Roberto Speranza (Pd), con il benestare ovvio del premier e di uno schierato Vito Crimi petulante urbi et orbi, ne ha rivendicato la potestà unica da parte del governo prendendo spunto da problemi e difficoltà nelle regioni più esposte, fra le quali la Lombardia (la Lombardia!). Ma si rivolgeva anche alle altre, soprattutto a quelle dove si voterà fra qualche mese, il che non può non far sorgere il sospetto di una intromissione di stampo elettoralistico.
Il governo Conte non aveva apprezzato la dichiarazione del presidente lombardo, Attilio Fontana, secondo il quale, dopo un mese e mezzo dall’inizio dell’emergenza, “da Roma abbiamo ricevuto briciole” insieme, aggiungiamo noi, ad appunti severi al “Sistema Lombardia” della sanità incolpandone, neppure fra le righe, il rapporto pubblico-privato perché sbilanciato, secondo il politically correct oggi di moda, perché sottrae risorse al pubblico. Un’accusa che non regge ad un’attenta e neutrale analisi, tanto più che la sanità è sottofinanziata da anni a livello nazionale, e non è il privato ad avere depauperato il pubblico. Anzi.
Semmai critiche e appunti sono doverosi su determinati malfunzionamenti, a cominciare dalle zone rosse mancate, dall’alto numero dei morti, dall’affollamento degli ospedali fin da subito senza appurare l’effettiva gravità dei ricoverati, ma la bocciatura del “Sistema Lombardia”, con quel sottofondo politico-ideologico, comporta una revisione ab imis del regionalismo tout court in nome di uno Stato accentratore il cui governo, nell’occasione, sta volutamente dimenticando la nostra Costituzione e i poteri delle Regioni.
Curiosa, per non dire peggio, la posizione del Partito Democratico (nonché, della gauche, degli innumerevoli intellettuali, ora silenti), che proprio in favore del regionalismo aveva alzato sempre le barricate contro il colpevole centralismo statale. E questo diventa, per una miracolosa metamorfosi, ora che lo governano da Palazzo Chigi, il vero e unico, grande solutore dell’emergenza.
Lo scontro, quello vero, c’è sull’impatto che il coronavirus ha avuto ed ha sul Servizio sanitario nazionale, con giudizi severi da parte di esperti, centri studi e fondazioni (la Gimbe, fra le più autorevoli), con un richiamo pesante al governo (lo Stato) del quale si ritiene inspiegabile (se non colpevole) il non aver ripreso (ma forse non l’hanno neppure letto) il “Piano nazionale di preparazione e risposta ad una pandemia influenzale” predisposto dopo l’influenza aviaria del 2003. Un piano che conteneva e contiene preziose istruzioni e indicazioni che, con gli opportuni aggiornamenti, avrebbe certamente stabilito e rafforzato le prime indicazioni di carattere generale, consentendo, soprattutto, immediate risposte dopo la dichiarazione di emergenza nazionale.
Cosicché il virus, più veloce della politica al governo e della burocrazia, ha avuto dinnanzi a sé una prateria.
di Paolo Pillitteri