
Bisogna attentamente riflettere sulla denuncia lanciata dai medici di base secondo cui il Sistema sanitario nazionale non riesce a funzionare perché mancano strumenti e protocolli per curare “chi è a casa”. La riflessione non riguarda, ovviamente, la fondatezza della denuncia. L’esperienza di questi mesi dimostra che una delle carenze principali del Sistema sanitario nazionale si è rivelata proprio quella dei medici di base che, privi di protocolli, di informazioni, di direttive e di protezioni, si sono ritrovati esposti in prima linea a fronteggiare l’offensiva della pandemia insieme con la struttura ospedaliera resa fragile da anni ed anni di tagli e ristrutturazioni compiute all’insegna di una austerità e di un risparmio che non avevano tenuto in alcun conto della possibilità di una qualche emergenza epidemica come quella attuale.
La riflessione sulla denuncia dei medici di base non può limitarsi alla semplice presa d’atto della sua fondatezza. Proprio in quanto realistica e veritiera consente di rilevare che se il sistema ospedaliero è riuscito a rimanere comunque in piedi ed a rappresentare la linea del Piave in cui si resiste al coronavirus, non è per il concorso dei medici di base abbandonati al proprio destino di fatica e di mancanza di tutele, ma perché la stragrande maggioranza della popolazione messa in quarantena dentro le proprie case ha supplito autonomamente e con le proprie singole forze alle carenze delle strutture pubbliche.
Chi rivendica oggi il merito di aver contenuto l’espansione della pandemia, con le misure restrittive del cosiddetto “modello italiano” mutuato da quello cinese, non può non prendere atto che senza il concorso della massa di italiani che si sono chiusi in casa in attesa di una sintomatologia talmente forte da imporre il ricovero d’urgenza in ospedale, il sistema sarebbe imploso già da tempo. È stato calcolato che tra questi cittadini figurano anche i sei milioni di contagiati che non sono stati scoperti e curati da nessuno e che si guardano bene dal precipitarsi negli ospedali più vicini puntando sulla speranza che il coronavirus passi da solo. Costoro non sanno se sono infetti o meno perché nessuno li ha mai sottoposti alle prove dei tamponi e del sangue. E, per questo, per un verso costituiscono un puntello indispensabile delle strutture sanitarie pubbliche ma, per l’altro, il potenziale focolaio di nuove ondate di virus.
Se i medici di base fossero attrezzati spetterebbe a loro censire e curare i portatori sani o malati della malattia. Ma se questo compito non può essere svolto, perché non utilizzare gli stessi italiani in quarantena per un autocensimento indispensabile per prevedere l’andamento futuro della pandemia? Non c’è bisogno di inviare in ogni casa il kit per l’accertamento del coronavirus. Se questo benedetto kit fosse disponibile nelle farmacie è facile prevedere che gli italiani farebbero ogni sforzo per acquistarlo e realizzare quel censimento capillare da cui trarre tutte le indicazioni per programmare il futuro. Perché non puntare sul “fai da te” dei privati per sopperire alle difficoltà del pubblico in attesa di mettere a frutto l’esperienza imposta dal coronavirus per una radicale riforma della sanità nazionale?
Aggiornato il 02 aprile 2020 alle ore 11:41