
Più volte questo giornale, a cominciare dal direttore, ha posto i problemi del dopo virus. C’è sempre un dopo dato che tutto che inizia ha un fine. A maggior ragione un giornale liberale non può non interrogarsi su un tema che l’urgenza della malattia mortale vorrebbe porre non solo in sottordine, ma sotto i piedi.
Si tratta né più né meno che della libertà, della democrazia. Del resto l’urgenza c’è e in suo nome le misure, anche le più drastiche, sono obbligatorie da parte dello Stato, inteso come governo e Regioni.
Siamo ovviamente d’accordo che lo Stato, nella doppia accezione col suo braccio esecutivo governante, possa intervenire anche penetrando nel privato (privacy) di ciascuno di noi. E, infatti, lo sta facendo con misure fra le quali spicca quella sorta di “arresti domiciliari” per milioni di cittadini per i quali proprio la democrazia assicura e garantisce libertà di movimento.
Certo, siamo in un genere del tutto straordinario di guerra contro un nemico invisibile e il contrasto comporta misure non meno straordinarie e comunque necessarie da parte di governo e Regioni. Il governatore del Veneto che ha indubbiamente motivi di grande preoccupazione per i suoi cittadini e si muove con decisione: ha proposto l’altro giorno “la sospensione delle norme sulla privacy” nel nostro Paese.
Privacy significa letteralmente privatezza e non v’è alcun dubbio che, per la collettività, determinate intromissioni nel privato onde limitare e sconfiggere il male, siano accolte perché necessarie. Non solo, ma sta avanzando, a livello nazionale, la proposta di una app di sorveglianza digitale – sistema usato in Corea del Sud e in Israele – con altre tecniche di controllo utili al contenimento del contagio e della diffusione del virus il che sta suscitando dibattiti accesi a proposito dell’utilizzo di un sistema di intervento, peraltro non ritenuto applicabile da molti tecnici.
Come era prevedibile, si sono accese discussioni non tanto sulla utilità di simili interventi sulla privacy, quanto, piuttosto, sul loro contenuto per dir così politico e il dibattito rischia di trasformarsi in una rissa dai contorni ideologici e comunque fuorvianti. Anche per quanti difendano lo Stato uber alles e dunque da applaudire nella sua durezza nei confronti delle interferenze nella privatezza giudicati come il minore dei mali.
Il punto più delicato sta nell’accezione del termine riservatezza, ritenuto, dai più in questo nostro sistema democratico come attinente alla sfera squisitamente privata e individualistica. La parola è a double face perché sono proprio gli Stati totalitari, in primis la Cina, che esigono e compiono sorveglianze e interventi nel privato con sistemi di controllo invasivi e pervasivi, illiberali e antidemocratici.
Non è per fortuna il nostro caso, purché “la compressione dei diritti fondanti e fondamentali” della nostra libertà e del sistema di democrazia siano sempre e comunque vagliati attentamente, a cominciare dal Parlamento, e siano restituiti alla oro pienezza quando sarà chiusa questa fase.
In questo senso, pensare al dopo significa anche un impegno irrinunciabile innanzitutto per i liberali.
Aggiornato il 30 marzo 2020 alle ore 14:04