Quella “macchia” di Burioni che può spiegare molte cose

lunedì 30 marzo 2020


“Mica sono un veggente!”. È stata questa la fantastica auto-giustificazione che il professor Roberto Burioni ha dato della sua clamorosa “caduta di stile” del 2 febbraio scorso quando nel corso della trasmissione Che tempo che farà disse testualmente: “il rischio in Italia oggi è zero. Il virus non c’è, non circola”: un’affermazione non scientifica profferita non come scienziato, ma esattamente come un veggente o come un Dio in terra, il che è quasi la stessa cosa. Ma sfortunatamente Burioni fece anche qualcosa di più. E infatti aggiunse: “non c’è e non circola grazie alle misure prese dal ministro”. Si riferiva al ministro della Salute Roberto Speranza, che era anche lui presente in quella trasmissione e che sorrise comprensibilmente soddisfatto di cotanta promozione. Il guaio è che il virus in quel momento circolava eccome in Italia e il rischio non era affatto “zero” e che le misure prese allora dal ministro si sono rivelate, alla prova dei fatti, catastrofiche.

Certo Burioni a quel tempo non poteva sapere tutto quello che sarebbe successo dopo, ma non poteva nemmeno dire quello che ha detto, come scienziato e proprio perché scienziato. Un qualsiasi individuo – anche se scienziato – che faccia unasserzione così categorica e non verificabile come “il rischio è zero” che altro fa, infatti, se non proprio il veggente? Con la differenza per uno scienziato che molta gente è portata a credergli ciecamente, proprio perché è uno scienziato. Insomma, Burioni prima ha fatto il veggente – in veste di scienziato – e poi ora dice “mica sono un veggente”. Poteva pensarci prima. La giustificazione del noto professore virologo mi ha ricordato il caso di un mitico posteggiatore di Bari: “venga, venga dottore” disse ripetutamente ad un mio amico mentre questi cercava di uscire con la sua auto da un parcheggio a marcia indietro. “Venga, venga” continuò a ripetere il posteggiatore fino a pochi decimi di secondo prima che si udisse il clangore dell’urto dell’auto del mio amico contro un’altra auto parcheggiata. “Ma come Nicola?” – gridò sorpreso e affranto il mio amico che conosceva bene il posteggiatore – “mi dici ‘venga venga’ e mi fai sbattere contro un’auto?”. “Dottò – fu la serafica uscita dell’ineffabile posteggiatore – e lei a me sta a sentire?”. Anche Burioni sembra oggi dire la stessa cosa a chi lo critica: “e voi a me state a sentire? Mica sono un veggente io!”. La “gaffe” di Burioni sarebbe altrettanto comica se non fosse per le conseguenze ben più gravi che nel caso dell’ammaccatura di un’auto.

Ma l’episodio è rivelatore di ben altre cose meritevoli di approfondimento anche perché si tratta di un personaggio che non merita la berlina. Egli si è comportato molto meglio di altri (anche suoi colleghi) in tutta la vicenda dell’epidemia, talché quell’episodio sembra a maggior ragione una “macchia” e un incidente inspiegabile. È stato proprio Burioni, infatti, già l’8 gennaio, ad avvertire che il virus poteva giungere in Italia e che c’era poco da stare tranquilli. E’ stato proprio Burioni che il 22 gennaio, in un’intervista a Linkiesta, si è detto “per niente d’accordo” con le autorità europee che affermavano che il rischio che il virus arrivasse in Europa, e in particolare in Italia, fosse “minimo”.

Lo stesso Burioni il 27 gennaio, nel programma Melog di Radio24, ha dichiarato: “il virus si diffonde in maniera molto efficiente e sembra causare una malattia di una certa gravità. L’unica cosa oggi che può difenderci veramente è la quarantena, non c’è altro modo’”. Si potrebbe continuare con le sue coraggiose prese di posizione – criticate da molti – che miravano a mettere in guardia, a coltivare il dubbio e la precauzione. Ma proprio per questo quelle sue dichiarazioni categoriche da veggente, prive di ogni ombra di dubbio e di fondamento scientifico appaiono misteriose. Altrettanto inspiegabili sono le lodi alle poco lodevoli misure prese dal ministro Speranza. Misteriose ed inspiegabili perché Burioni aveva tutti gli elementi per evitare quella scivolata.

Non è stato proprio il professor Burioni con il suo collega Walter Ricciardi (prima di essere nominato consulente del governo) a dichiarare che bloccare i voli da e per la Cina (come aveva disposto il ministro Speranza) era una misura futile che poteva rivelarsi addirittura dannosa perché ci si privava della possibilità di testare e sottoporre a quarantena i provenienti dalla Cina che avrebbero optato per voli indiretti? non è stato lo stesso Burioni a rivelare ripetutamente sul suo sito Medical facts che gli asintomatici sono contagiosi e che quindi la misurazione della temperatura negli aeroporti (anch’essa disposta da Speranza) era una misura insufficiente?

Non sapeva poi il 2 febbraio che già dal 26 gennaio la Germania aveva già annunciato la presenza e la già avvenuta trasmissione del virus in Germania? Non sapeva che il ministero della Salute (cioè quello di Speranza) aveva imposto un protocollo che disponeva il tampone solo a chi provenisse dalla Cina? Peccato che poi è stato accertato – in un’indagine del professor Massimo Galli – che il paziente 1 di Codogno era stato contagiato proprio da un infetto proveniente dalla Germania – e che il detto paziente 1 è stato scoperto solo grazie ad una anestesista che lo ha sottoposto a tampone, violando il fantastico protocollo redatto dal ministero di Speranza.

Peccato che lo stesso paziente, presentatosi più volte in Ospedale sia stato rispedito a casa con una diagnosi imprecisa, infettando probabilmente medici, infermieri e forse anche altri, proprio perché il fantastico protocollo del ministero di Speranza non prevedeva per lui il tampone. Le misure di Speranza, insomma meritavano tutt’altro delle lodi di Burioni che aveva molti elementi per nutrire dubbi. Intendiamoci. Non è certo Burioni il responsabile di tutte queste cose anche perché non essendo un veggente non poteva prevedere tutto quello che è poi successo. Egli è il meno responsabile di tutti. Ma si è spinto molto oltre e la sua “caduta di stile” del 2 febbraio mostra quali siano i pericoli quando uno scienziato si mette a fare il veggente (o il politico). Ma ci si può chiedere perché lo abbia fatto. E qui il discorso diventa ancora più interessante.

Burioni quella sera ed in diverse altre occasioni ha dato l’impressione di avere paura, anzi terrore, di essere accusato di allarmismo, come in quei giorni era di moda fare presso il clan politico-mediatico che tiene banco nei talk-show televisivi imponendo le parole d’ordine del momento, che in quel momento era “soprattutto niente panico”. Quel clan decide della correttezza politica di questo e quello, mettendo talvolta quello e questo alla gogna. È l’ipotesi più probabile che si trae anche dai successivi interventi di Burioni alla stessa trasmissione Che tempo che farà. In quegli interventi Burioni ha dato la netta impressione di cercare un difficile equilibrio tra il “non sopravvalutare e il non sottovalutare” (come più volte ha detto egli stesso), tra rassicurare il pubblico e lanciare, al tempo stesso, con toni bassi, velati messaggi di allarme evidentemente diretti alle autorità.

Che però non lo hanno ascoltato e forse non ci hanno nemmeno fatto caso. Ne valeva la pena? “Jamais trop de zèle” – diceva Tallyrand. In quei giorni e per quasi tutto il mese di febbraio l’imperativo categorico imposto da quel gruppo di potere politico mediatico che impera sui media ed in Italia era: badare ad “evitare il panico” persino più che l’epidemia. Quest’ultima quale – nella vulgata di quei giorni era “un rischio trascurabile” (Speranza dixit) e secondario. Ci si deve chiedere certo da analisti (e da scienziati): il panico era davvero il rischio maggiore? Era più grave persino del rischio di abbassare la guardia davanti alla pandemia (come è poi successo)? Meglio la pandemia che il panico? Certo che no. E poi: siamo certi che dire la verità scientifica porti al panico? Non fu così affatto quando Carlo Rubbia annunciò con sobrie e veritiere parole il disastro di Chernobyl nel 1986.

Tutti capirono allora e presero le necessarie precauzioni, nel più totale rispetto dello scienziato autorevole e della scienza. È stato così, sotto la pressione di un potere politico-mediatico che funziona come una polizia del pensiero che quel 2 febbraio Burioni è scivolato nell’eccesso di affermazioni apodittiche e non veritiere – e fonti di sottovalutazione del rischio reale: affermazioni non proprie di uno scienziato, ma di un veggente o di un politico eccessivamente preoccupato, più che della verità, di evitare un rischio. Che in quel caso era un rischio minore e persino improbabile per un popolo maturo – il panico – rispetto a quello maggiore incombente e persino più probabile, come l’epidemia. O c’è forse ancora qualcuno che ne dubiti?


di Lucio Leante