Il nostro Benedetto Croce, citando Aristotele (“padre della scienza politica”) circa il contrasto tra vita attiva e contemplativa scrisse: “Non sono pratiche soltanto le operazioni che si volgono ai fatti, ma anche e più assai le contemplazioni e riflessioni che hanno per origine e fine sé stesse, e che, educando la mente, preparano l’euprassia”.

L’euprassia, cioè il bene agire, è pertanto intimamente, essenzialmente, coerentemente collegata al pensare bene (“le contemplazioni e riflessioni”), che potremmo battezzare “euteoria”. È curioso che in italiano il benpensante non sia in genere annoverabile tra quelli che la pensano bene davvero. Come pure una bella pensata è in realtà uno sbaglio. Dunque non esiste euprassia senza euteoria, vale a dire che la luce in casa non s’accende perché abbiamo pigiato l’interruttore, bensì grazie alla scienza elettrofisica o elettrologia.

Orbene, quest’alata e filosofeggiante premessa serve ad introdurre e forse chiarire meglio quella che pare un’evidenza politica eppure non troppo evidente alle classi dirigenti nazionali, convinte di poter volere nella pratica soprattutto le cose gradite che nella teoria risultano impossibili. Detto pedestremente, pretendono di ottenere 4 sommando 2+3 o 2+1. Specialmente con la finanza pubblica.

Il 31 dicembre 2019 il debito pubblico italiano è stato 2.409,3 miliardi. Soltanto un mese dopo, il 31gennaio 2020, è salito a 2.443,5. L’incremento è 34,2 miliardi in un solo mese! Per dodici mesi farebbero 410,4 miliardi: una cifra che rispetta l’aritmetica, mentre il condizionale riguarda la politica economica. Contemplandola e riflettendoci, se ne ricava la certezza, determinata dalla temperie del coronavirus, che il 31 dicembre 2020 il debito pubblico sarà ben più di 2.819,7 miliardi (2.409,3+410,4). A causa dell’emergenza sanitaria, infatti, l’economia rallenta fino a contrarsi in recessione; i tributi sono differiti; le entrate, ridotte; le spese, aumentate; la durata, imprevista. Qui sovviene la vera scienza economica (detta “catallattica” perché il suo oggetto è l’economia reale di scambio) che ha raggiunto acquisizioni incontrovertibili, verificate sul banco di prova dell’esperienza storica oltre che di per sé evidenti: per esempio, non si può generare prosperità scoraggiando la parsimonia; non si possono evitare i problemi spendendo più di quello che si guadagna; non si può stabilire solida sicurezza sociale sulla base di denaro preso a prestito; non si possono aiutare gli uomini in maniera permanente facendo per loro ciò che essi potrebbero o dovrebbero far da soli. Sono leggi economiche che valgono per gl’individui, le persone giuridiche, le nazioni.

Purtroppo, il potere sull’economia messo dalla democrazia nelle mani di governanti e governati, malamente raffrenato da vincoli costituzionali nebulosi e flessibili, ha ingenerato negli uni e negli altri l’albagia di ritenersi capaci di fabbricare leggi economiche a piacimento, attingendo a fallaci teorie, illusorie ed illogiche in astratto quanto già contraddette in concreto.

In proposito il nostro Luigi Einaudi affermò una mirabile verità effettuale: “Oggi vi è sempre un partito o un gruppo che ha interesse ad agitare le idee più inconsistenti, per amore di popolarità o per libidine di potere, quando supponga che l’idea, anche assurda, possa far presa sugli analfabeti della scienza economica, abbondantissimi nei Paesi a temperamento improvvisatore”.

Da quando gli esseri umani iniziarono a praticare l’economia di scambio, fu chiaro, stabilito, che la credibilità e solvibilità del debitore sono la migliore garanzia del creditore. Gli odierni improvvisatori, travestiti da ministri e parlamentari, convinti d’aver a che fare, in patria e all’estero, con analfabeti dell’economia alla loro stessa stregua e come loro inconsapevoli, pretendono al contrario d’aver diritto d’indebitarsi viepiù a misura che scema l’affidabilità politica e decresce il fondo economico. Credono indebitamente che il bene agire consegua dalla cattiva teoria, secondo la quale lo Stato (rectius: gl’improvvisatori di turno!) può impiegare finché vuole non solo il capitale sociale accumulato, cioè il risparmio propriamente detto, ma pure una quantità illimitata di moneta eccedente il risparmio utilizzabile.  

 

Aggiornato il 20 marzo 2020 alle ore 11:26